Categoria: Stefano De Pietro

  • OLI 271: ECONOMIA – Una “strana” agenzia di rating

    Si chiama “Transnationale”, si pronuncia alla francese “transnasional”, si legge in tante lingue tra le quali un ottimo italiano. Sarà per la sua origine francese, patria della nascita dell’uso del computer a fini informativi, ma si tratta di un sito di quelli da tenere tra i preferiti: una classificazione a tutto tondo di oltre 13mila aziende nel mondo, non limitata ai soli dati finanziari ma, anzi, piuttosto al livello di rating etico.
    Un primo sguardo a it.transnationale.org lascia ben impressionati: molte informazioni e poca grafica, rapido e zeppo di contenuti. In basso, un collegamento alle informazioni sul sito, a cosa serve e come si usa. I dati sulla valutazione etica sono disponibili in forma gratuita, così come la composizione dell’arco sociale di proprietà. Per fare una prova, una a caso, si cerca Mediaset.
    Il risultato è: sede in Via Paleocapa a Milano, email di un referente, i marchi detenuti (Canale 5, Cuatro, Digital + (22%), Italia 1, Jumpy, Publitalia, Rete 4, Rete Europa). Più sotto i quattro azionisti (Abu Dhabi Investment Authority, Fininvest, Lehman Brothers Holdings, Putnam LLC), un conto corrente nel paradiso fiscale del Liechtenstein. Alcune informazioni sono solo disponibili per gli abbonati, peccato, anche se è facile intuire il lavoro di raccolta dati e di elaborazione che sta dietro un programma simile. Tra gli azionisti di Mediaset c’è Fininvest, il cui azionista al 100% è il Presidente del Consiglio dei ministri, dott. Silvio Berlusconi. Certo, non il presidente, solo il proprietario totale. Quindi il Silvio nazionale è proprietario del 34,3% di Mediaset, che detiene il 100% di Canale 5 (ad esempio). Un bel sistema di verifica, questo sito!
    Resta da verificare la freschezza delle informazioni contenute, per questo sarebbe bello ricevere un feedback proprio dai lettori. Per concludere, il pensiero ispiratore di questo immenso lavoro è di Ghandi: “Lo sfruttamento del povero può essere fermato, non eliminando alcuni millionari, ma rimuovendo l’ignoranza dei poveri ed insegnando loro a non cooperare con gli sfruttatori. Ciò convertirà anche questi sfruttatori.” (Mohandas K. Gandhi, Haryan, 28 luglio 1940).
    Lo ha detto il Mahatma, non servono altre parole, buona navigazione.

    (Stefano De Pietro)

  • OLI 270: INFORMAZIONE – Razzismo editoriale

    Gli uomini non sono tutti buoni, si sa. Dai tempi di Caino e Abele, c’è sempre chi si distingue per riuscire a compiere atti condannabili, metà della scienza umana è dedicata proprio allo studio delle regole di convivenza. Però, tra la cronaca di un reato e l’istigazione al razzismo dovrebbe correre molta acqua, specialmente se l’organo di informazione è un giornale come il Secolo XIX. Invece, ecco bella fresca di giornata una razzicronaca, per fortuna almeno non firmata (*). Vi si descrive un Caino straniero che, nell’ordine è marocchino per ben due volte, con permesso di soggiorno, extracomunitario, nordafricano e magrebino. Naturalmente ubriaco e pedofilo. Non è importante in questo articolo spiegare cosa abbia fatto, non perderemo tempo a descriverlo, così come dall’altra parte avrebbe dovuto avere rilievo solo il fatto in sé stesso, rispetto alla ben scarsa importanza del descrivere l’attore secondo tutte quelle caratterizzazioni geografiche, politiche e di stato civile. Un improbabile mea culpa della testata sarebbe d’obbligo.
    E visto che le “repetita iuvant”, ecco un altro esempio di incipit dal sapore razzista, sempre in un articolo del Secolo ed. di Savona di lunedi 19 luglio (**): Savona. Non solo balordi o delinquenti abituati a vivere ai margini della legge, magari extracomunitari, albanesi o marocchini. Ci sono anche i «nuovi poveri», italiani, soprattutto sessantenni, dietro agli automobilisti sorpresi con la polizza assicurativa dell’auto falsa o scaduta. Insomma non si capisce se siano i marocchini ad essere delinquenti o i nuovi poveri italiani ad essere marocchini, si lascia libertà di scelta. Qui l’unica certezza è la confusione mentale del giornalista che meriterebbe una nota di biasimo da un certo numero di ambasciate straniere in Italia.
    Non serve dire altro, se non che il Movimento del primo marzo espone la sua Mostra sui diritti, dove si tratta tra gli altri punti  proprio del problema della stampa “distrattamente razzista”, molto più pericolosa di quella dichiaratamente nazista in quanto il dolcetto avvelenato ti arriva proprio dalle mani di chi ti fidi e si fa paladino di quei valori che poi infrange con tanta leggerezza. La mostra si tiene il 24 luglio, la sera di sabato, alla Villa Imperiale, all’interno della Festa del Perù. Sarà un bel leggere esempi di altri razzarticoli.
    * http://www.ilsecoloxix.it/p/savona/2010/07/18/AM3WmlsD-ubriaco_soccorso_molesta.shtml
    ** http://www.ilsecoloxix.it/p/savona/2010/07/16/AMYZHXsD-falsi_assicurati_boom.shtml

    (Stefano De Pietro)

  • OLI 269: SOCIETA’ – I pizzini ai tempi di Skype

    Un trafiletto (*) sulle intercettazioni telefoniche tra Tizio, Caio e Sempronio descrive i trucchetti che i tre cercano di usare per parlare sicuri al cellulare. “Questo telefono non è controllato”, “Uso il cellulare di un collega”, queste sono le affermazioni che Tizio si lascia scappare parlando con Caio, per tranquillizzarlo. Peccato che il telefono controllato fosse proprio quello di Caio.
    Se stessimo parlando di tecnologie spaziali, l’ignoranza sarebbe scusata. Però, visto che si tratta di telefonia, non arrivare a capire che in una telefonata gli apparecchi intercettabili sono due, suona come una condanna alla stupidità. Ricorda, facendo un paragone su un omicidio, il killer assoldato per pochi euro che si è presentato dal suo mandante con i guanti, come richiesto esplicitamente per evitare di lasciare traccie: ma con i guanti da autista, senza le dita …
    Le nuove norme sulla intercettazione ambientale e telefonica fanno scalpore, da tutte le parti ci si scaglia contro una legge che viene definita come “ammazzaprocessi”, “ammazzaindagini”, “ammazzaqualcosa”. Appare anche in questo caso che ci si stia presentando nel posto dell’omicidio con i guanti senza dita e convocati col telefono “sicuro”, ma sarebbe meglio dire senza conoscere Skype.
    Il noto “programmino” per fare le telefonate via internet, ma anche a rete fissa e cellulari, non è affatto un giocattolo, ha uno schema di funzionamento che assomiglia di più ad un programma per scaricare film con il “peer to peer” (emule, per intendersi), più che ad una rete telefonica standard, quindi senza un server centrale o una vera centrale telefonica dove entrare con mandato del giudice. Questo, abbinato ad un “protocollo” criptato, ossia inintelleggibile senza i necessari ed introvabili strumenti tecnologici, lo rende una vera e propria cassaforte della privacy: nessuna polizia al mondo ha annunciato fino ad oggi di avere eseguito intercettazioni su questo veicolo telefonico, senza aver avuto accesso diretto al computer da controllare. Oggi molti cellulari sono dotati di Skype onboard, quindi di fatto non intercettabili, prima di tutto perché non passano dalle classiche centrali telefoniche (dove l’intercettazione, inutile a dirsi, è un gioco da bambini), secondo perché la chiave crittografica necessaria ad “aprire” la telefonata non è condivisa se non dai due soggetti della telefonata, e non è nota agli uffici di Skype. La società lituana si guarda bene dallo svelare i propri segreti industriali, che protegge con grande accuratezza: Skype funziona sempre e comunque, passa i firewall, funziona bene anche quando la velocità di internet è molto bassa, comunque protetti, insomma un “gran bel pezzo di software“ da girarsi mentre passa … e da uso per evitare le intercettazioni, legge o non legge ammazzaqualcosa, come fosse il nuovo “pizzino”.

     * Il Secolo XIX dell’8 luglio 2010 ed. La Spezia, pag. 38)

    (Stefano De Pietro)

  • OLI 267: SOCIETA’ – Uno sbarco tutto spagnolo

    Dalla Nave dei diritti, la sera di sabato 26 giugno, scendono circa 600 persone, i partecipanti allo Sbarco, l’iniziativa di un gruppo di italiani residenti all’estero. Molti di loro sono migrati per trovare lavoro, altri per seguire un compagno, altri ancora perché è capitato così. Tutti insieme sono arrivati al porto di Genova, ad attenderli un altro gruppetto di italiani, quelli rimasti qui, meno di quanti fossero loro stessi: il primo specchio di quello che attende chi voglia cercare di smuovere l’Italia, una gran fatica per ottenere poco, forse se l’erano dimenticato, vivendo altrove.
    Nelle piazze, di domenica, poche persone. I media hanno parlato quasi niente dell’iniziativa se non proprio all’ultimo, facendo mancare quel clima di aspettativa che è poi il successo degli eventi come questo. Suq, Festival della poesia, forse perché maggiormente supportati dalle istituzioni cittadine, sono stati spinti ovunque, e nonostante questo la presenza non è stata certo esplosiva come i primi tempi. Senza questo apporto, lo Sbarco ha sofferto, e molto. Un aneddoto per tutti: ad una settimana dalla data, la certezza della disponibilità di Commenda e Museo di Sant’Agostino era ancora dubbia.
    Nella Piazza delle differenze, alla Commenda, dopo qualche ritardo organizzativo inevitabile quando le iniziative sono giovani o alla prima edizione, comincia la musica, le letture. Il pubblico la mattina era atteso molto scarso, dopo la notte di festa di sabato al Porto antico, ma lo stesso flusso di persone, se così possiamo chiamarlo, tende addirittura a scemare nel pomeriggio.
    La sera a Matteotti, Rita Lavaggi, la “mamma” dello sbarco genovese, accusa senza mezzi termini. Accusa chi non ha voluto supportare l’iniziativa. Accusa, di fatto, gli italiani che non hanno capito. E ringrazia una per una le persone che hanno prodotto le due giornate.
    Forse, quando non si vogliono cercare le cause all’interno delle proprie fila, si cercano fuori. Però c’è a mio avviso una chiave di lettura che apre uno spazio diverso, pensando come un Primo marzo sia riuscito a smuovere, solo a Genova, quasi 10 mila persone, delle quali ben più della metà stranieri extracomunitari, mentre l’iniziativa tutta italiana, tra italiani, non abbia raggiunto il tetto di partecipazione sperato: forse abbiamo davvero bisogno del lavoro degli immigrati, non solo nella produzione ma anche nella società civile.
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 265: ECUADOR – Come venire a capo del debito pubblico

    Quando un giorno nei libri di storia sarà necessario spiegare cosa sia successo nel XXI secolo riguardo l’economia e la politica, sicuramente l’Ecuador avrà un capitolo a sé, ricco di trovate intelligenti e di grande effetto positivo per i suoi cittadini. Partiamo dalla modifica alla Costituzione per regolarizzare i rifugiati della guerra colombiana, proseguendo per la nazionalizzazione della produzione delle medicine, per finire oggi con la cancellazione di un terzo del debito estero. Almeno, questo è quello che viene dichiarato in questo video pubblicato su Youtube,

    dove viene proposta l’udienza parlamentare sul debito, con un commento di Alejandro Olmos Gaona, autore del libro “La deuda odiosa” (il debito odioso). Resta solo da vedere il filmato per cominiciare a capire il sistema del debito pubblico, non solo ecuadoriano, e la soluzione proposta d al governo di quel paese.
  • OLI 265: LETTERE – Prove tecniche di “legge bavaglio”

    “Oggi il Presidente del Consiglio ha intrattenuto i suoi ospiti su una novità del mercato alimentare italiano: dopo un’intera estate di assenza dai banchi dei supermercati come negli espositori dei bar, finalmente oggi la Ramero ha rimesso in circolazione i tanto conosciuti cioccolatini con la ciliegia e l’immancabile liquore, che fanno tremare le diete delle signorine e allungare il dito indice dei bambini quando lo chiedono alla mamma. Le confezioni, rivela una fonte sicura di Palazzo Chigi, sono le stesse dell’anno scorso. I famosi cioccolatini erano stati ritirati nel periodo estivo in quanto destinati ad un mercato più freddo, sostituiti da nuovi prodotti più facilmente vendibili con il caldo e desiderosi di ‘farsi spazio’ nelle preferenze degli italiani. L’opposizione si è subito scaldata asserendo come ‘non sia vero che le confezioni siano le stesse dell’anno scorso e anche il peso sembra essere diminuito di qualche decimo di grammo’, il che co rrisponde a realtà ma solo ‘in conseguenza di un minore apporto alcoolico concordato con il Ministero della Salute’, asserisce la casa produttrice: è stato fatto per chi si mette alla guida.

    “Emergenza afa: in Parlamento si cambiano i condizionatori, i vecchietti vanno al supermercato.”
    “Indagine di Report: ma quanto son tettòne le tèttoni?”
    Lo so che può sembrare un pò pazzo inviare una lettera come questa a OLI, però sarà meglio che ci abituiamo a questo tenore di notizie perché con la nuova normativa sull’editoria questo è quello ci aspetta, più o meno. Il buon Pasquale Cafiero che trovava “20 notizie 21 ingiustizie” nella celebre canzone di De André, può finalmente smettere di fare il caffè a don Raffaè, le notizie non ci saranno più. 
    (Stefano De Pietro)


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  • OLI 264: POLITICA – Un mondo senza date

    Non basta il Comune di Genova che si dimentica l’ora legale negli orologi stradali (v. Oli n. 256), nemmeno la risposta sonnecchiosa e quasi stupita di un autista della corriera per Recco, che con un semplice “si, si, lo so” commenta il grosso orologio di bordo, il quale a fine maggio mostra ancora l’ora solare. Ad avere un pessimo rapporto con l’ora e con le date è adesso anche l’Esercito israeliano. Sulla rete brulicano infatti i commenti relativi alla falsità su molte foto scattate a bordo delle navi assaltate la notte del 31 maggio, pubblicate su Flickr dal Ministero per gli affari esteri israeliano (1*)

    Le foto scattate con le fotocamere digitali si portano dietro, intangibili per chi non lo sappia, le informazioni “Exif”, ossia principalmente il tipo di fotocamera e l’ora dello scatto. Queste informazioni restano, e se non cancellate dai file scaricati dalle fotocamere mettono in difficoltà la credibilità in una pubblicazione quando differiscano da quelle dichiarate.

    Proprio l’Esercito israeliano ha pubblicato su Flickr le foto dell’assalto alle navi dei pacifisti, a riprova dell’atteggiamento aggressivo di quest’ultimi. Queste immagini però contengono al loro interno una “data Exif” diversa da quella dell’intervento. Non è una sola fotocamera a cadere nell’inghippo, ma ben 4 di esse riportano date diverse che sembrano avere a che fare con la “data di default”, preimpostata di fabbrica. Alcune foto portano nello spazio Exif anche la traccia di un passaggio in Photoshop, un programma usato di solito per la modifica delle immagini, per cui per queste decade la possibilità di essere considerate affidabili anche dal punto di vista del contenuto, oltre che della data.

    Questo non prova che le foto siano necessariamente false, anzi un video pubblicato il due giugno su Youtube (2*) sembrerebbe confermarne la veridicità, anche se il filmato sembra una risposta al problema delle date dopo che sito Agoravox (3*) aveva messo alla luce il problema.

    Senza entrare nel merito del contenuto delle foto, che ritraggono per la maggior parte normali dotazioni di bordo di una nave come coltelli da cucina o ascie antincendio, che dire però di un esercito che non si cura di produrre una documentazione fotografica con data e ora corrette? E’ vero che i dati provenienti dalla fotocamera non hanno alcun valore legale, così come le date dei file dei computer, però si nota in questa occasione una totale mancanza di precisione e della minima cura dei particolari, di una qualche volontà di predisporre le cose per dimostrare la propria correttezza: insomma, “non gliene frega proprio niente” di apparire corretti. Esattamente come per l’attacco alle navi, come per Gaza, come per i molti casi nel quale questo esercito si è distinto per l’arroganza di agire senza alcuna cura del rispetto del diritto internazionale o della semplice umanità nei confronti dei civili. Chissà che un giorno non si possa avere una data certa nella situazione mediorientale: la data della Pace.

    Potremo aspettarcela da Israele, però? Aspettando questa data certa, godiamoci quella incerta delle sue foto (4*).


  • OLI 263: EUROPA – In Italia la violenza è doppia

    Talvolta si riesce ancora a percepire la distanza che ci distacca da una gestione europea dello Stato. In materia di diritti civili l’Italia è uno dei fanalini di coda dell’Unione, impegnata com’è negli scandali dei sederini rosa e degli appartamenti romani di ex ministri nuclearisti. Questa volta il campanello è stato suonato da una sentenza del Tribunale di Torino, grazie all’intervento in materia di risarcimento danni di uno studio ben informato in materia, Ambrosio e Commodo di Torino (1*). Nella lunga lista di interventi e pubblicazioni riscontrabili sul loro sito, risalta l’impegno profuso sul problema dei risarcimenti, visti da diversi punti di vista e in molti settori della società.
    La sentenza in oggetto (2*), alla quale l’Unità ha dedicato un articolo (3*), riguarda la mancata applicazione di una direttiva europea che obbliga gli stati membri a creare dei meccanismi di protezione sociale in materia di violenza intenzionale, ad esempio una stupro. Il caso al quale si riferisce la sentenza è quello di una ragazza che aveva subito un violenza sessuale da parte di due ragazzi, i quali, condannati, sono però risultati nullatenenti e quindi non in grado di risarcire la vittima. In questo caso, secondo la direttiva europea, il sistema leglislativo italiano dovrebbe prevedere un risarcimento da parte dello Stato. Però fino ad oggi l’Italia ha ignorato la chiarezza della direttiva, adducendo varie motivazioni e anzi creando una limitata “lista di reati” (che non comprendevano lo stupro) per i quali intervenire. Una “doppia violenza” per la vittima, che oltre a subire quella diretta dei suoi aguzzini, resta poi incastrata nella burocrazia che distingue tr a chi ha subito una violenza mafiosa (coperta dal diritto attuale) o uno stupro, non presente nella lista. Invece questa sentenza ha finalmente riassestato la giustizia, assegnato alla vittima un risarcimento di 90mila euro che dovranno essere necessariamente versati dal Governo italiano.
    Si crea adesso un precedente che dovrebbe suggerire di predisporre una norma di legge e costituire un fondo economico per le numerose richieste che saranno avanzate da parte di molte altre vittime. Infatti, al momento, per poter usufruire dei vantaggi dettati dalla direttiva occorre citare in causa il Governo per ogni singolo caso, avvalendosi della giurisprudenza creata da questa sentenza, con la conseguenza d’aumentare l’intasamento dei tribunali di mezza Italia.
    Sono però aperte le ipotesi su cosa realmente accadrà: qualsiasi scommettitore londinese darebbe dieci a uno la soluzione “ignorare la legge pagando molto di più però tra cinque anni”, vincente sul “pochi, maledetti, subito di uno stato civile”, che sarebbe una soluzione più auspicabile. Tanto, le spese aggiuntive le pagheremo sempre noi, cittadini-Pantalone. E’ il sistema in uso da parte di moltissimi comuni italiani per il caso dell’Iva sulla bolletta dell’acqua. E’ il carpe diem al quale lo Stato ci ha ormai abituato da tempo, come la norma sulla “tortura” che manca nel nostro ordinamento e per la quale la UE attende pazientemente un intervento risolutore.
    (s.d.p.)
  • OLI 258: SOCIETA’ – Ma l’etrusco lo potrei usare?

    “Ciao, oggi sono stato al forum piscarium e ho comprato delle triglie bellissime”, “guarda che giù al forum coquinum non si risparmia mica”, “al macellum del venerdì in piazza Ottaviano c’è davvero di tutto”. Strano, vero, che come si usa fare le parole latine non siano state scritte in corsivo. E’ il possibile effetto della proposta della deputata leghista Silvana Comaroli (*), consentire il commercio solo a chi parla bene l’italiano e vietare le insegne in lingue che non siano comunitarie, forse dimenticando che si potrebbero trovare insegne scritte in lingua rumena (ohibò, che svista), nel comprensibilissimo danese, per non parlare del greco. E che ne sarà del lituano, del polacco? Se saranno ammesse il catalano, il basco, l’irlandese di Dublino, non è dato ancora saperlo.
    Potranno essere usati anche tutti i dialetti italiani, ma solo nella regione di competenza, il che lascia presumere che ci potremo dimenticare la pizzeria “Dicitencello vuje” a Milano, o il ristorante “A madunina” a Palermo. Stop insomma allo scambio fonetico.
    Una possibile soluzione, la propongo io per salvare la situazione, sarà di aggiungere al decreto l’articolo correttivo finale: “o la lingua dalla quale le altre derivino”, ossia il latino. Da lingua morta a lingua ufficiale della politica italiana, altrettanto morta. Dopo le messe in latino che spuntano qua e là per lo stivale, potremmo cominciare ad avere i consigli comunali in bergamasco o latino, in piemontese o latino, in genovese o latino. Visto? La cosa è presto risolta, per insegne, parlamento, consigli regionali, provinciali, comunali e municipali, modulistica, pubblicità elettorale. Proporrei, nei casi nei quali l’assemblea condominiale sia fatta di persone extra UE, l’uso dell’esperanto obbligatorio. Tutti, amministratori, inquilini, politici, presidenti, commercianti, con regolare certificato di frequenza emanato da ente autorizzato.
    Bene, finite le barzellette delle proposte di legge fatte ad mentulam canis, torniamo a vedere la bellezza di non capire nulla di “arabo”, entrare nel kebab e chiedere, masticando il panino multirazziale: “ma che diavolo c’è scritto nella tua insegna?”. Si chiama “convivenza multietnica”.

    *http://www.camera.it/29?shadow_deputato=302764

    (s.d.p.)
  • OLI 258: COMUNICAZIONE – Pinocchio, il gatto e la volpe

    Come sempre il gatto Telecom, la volpe Poste Italiane e il Pinocchio Ministero che crede ancora al Paese dei Balocchi hanno combinato il solito pasticcio. Ringraziamo che il crollo del sito della posta elettronica certificata di Stato sia avvenuto subito prima che milioni di italiani avessero affidato ad esso le loro pratiche amministrative.

    Tre didascalie a scelta a commento della immagine:
    1. La Posta Elettronica Certificata di Poste, Telecom e Governo? Questo il commento dei tecnici informatici: ahahahhahahahahhaha hhahhahahahahahhahahahahha hahahha hahahhahhahahahhahahahhaha hahhahahahhaha hahhaha hahahahahhahahahhah”. Chiaro?
    2. Disinformatica di Stato – La Posta Elettronica Certificata si incaglia alla prima ora.
    La comunicazione “sicura” tra il Cittadino e al Pubblica Amministrazione. Sicura di fare fiasco, qualcuno ne avrebbe dubitato?
    3. Informatica dei bambini – Quando si uniscono Telecom, Poste e Ministeri, il Cittadino si barrichi in casa! Pericolo di frane.

    (s.d.p.)