Scandali – Il sesso di chi conta è due volte tabù

A rischio di scivolare nel qualunquismo, è quasi impossibile non notare come lo spirito di corpo faccia superare barriere ideologiche e divisioni di parte quando il ceto politico si sente bersaglio di attacchi dei giornali. Immaginarsi poi se si toccano questioni di sesso. La reazione è stata immediata: ora i giornalisti italiani sanno di rischiare il carcere se si azzardano a pubblicare notizie intime sulle persone (meglio personaggi) al centro di vicende giudiziarie.


Abbiamo visto un presidente della maggior potenza mondiale vacillare sotto i titoli dei tabloid per la storia con la stagista; ma se qui si tocca un semplice portavoce del governo, a quanto pare col debole delle esplorazioni notturne nei vialoni hard, si scatenano le furie del perbenismo ipocrita: dal solito cavaliere che grida al massacro della dignità personale, fingendo di ignorare però che sono proprio i giornali da lui controllati ad avere lanciato la prima pietra, ai Fini e Cicchito che si leccano mai rimarginate ferite mediatiche, fino al guardasigilli Mastella che rilancia il suo decreto legge per rimettere tutti in riga: primi i magistrati, limitando il loro diritto-dovere di indagare mediante le intercettazioni telefoniche, non ultimi i cronisti cui sarebbe vietato di pubblicare i verbali delle registrazioni.
In attesa che il parlamento metta ai voti le idee di Mastella (Di Pietro fa presente che le intercettazioni per gli inquirenti sono come il bisturi per i chirurghi, uno strumento indispensabile se si vuole estirpare il bubbone, il che non significa che il chirurgo sia autorizzato a usare il bisturi per ammazzare la moglie), ci ha pensato il garante della privacy, Francesco Pizzetti, a dar ha immediato seguito alle proteste parlamentari con un provvedimento che minaccia “da tre mesi a due anni di carcere a chi pubblica notizie o immagini che violino la sfera sessuale delle persone interessate”. Così la privacy dei potenti è salva e la libertà di stampa un po’ meno. Poche sere fa, intervistato da “la 7”, il direttore della Stampa, Giulio Anselmi, ha spiegato con molta sincerità perché non ha pubblicato le foto del portavoce di Prodi nel vialone dei trans: “Mi sono domandato se volevo rischiare l’arresto”. La risposta è stata no. Forse avrebbe fatto la stessa scelta, per motivi di civiltà, di gusto, di stile. Stavolta però ha agito sotto il peso della minaccia.
(Camillo Arcuri)