Sicurezza 1. La legge 626 funziona? Allora non serve più

Nel convegno organizzato dalla CGIL sulla sicurezza gli interventi hanno mostrato che il sindacato, unitariamente, non ritiene che questa legge 626 sia così fallimentare come il Governo vuol far credere al fine di aprire la strada ad una dirompente deregulation con un testo unico presentato come “semplificazione”.


La legge 626, a 10 anni dalla sua promulgazione, comincia in effetti a dare i suoi frutti. Lo dimostra la leggera tendenza al ribasso in atto da un quinquennio degli indici degli infortuni, scesi in numero assoluto sotto il milione nel 2003. La situazione italiana, del resto presenta lo stesso andamento decrescente dell’incidenza infortunistica che si riscontra a livello europeo, anche se rimane più grave della media europea il dato degli infortuni mortali che nel 2003 sono stati ancora 1.311 (3,6 morti al giorno, sabato e festività comprese) e se i dati sono sicuramente sottostimati per il proliferare del lavoro nero.
Interessante sia il video introduttivo che il documento contenuto nella cartella distribuita ai partecipanti: “Indagine all’Ilva” sull’argomento sicurezza. Tra le righe del rapporto di commento emerge un quadro su cui, forse, non si è ancora fatto mente locale se non con slogan ad effetto. Tra gli elementi evidenziati c’è il profondo rinnovamento intervenuto nella forza lavoro, come dimostrano tre dati:
– i lavoratori con esperienza sono il 35 per cento degli operai;
– il 61 per cento è rappresentato da neo assunti;
– il 27 per cento lavora con contratto di formazione lavoro o a termine.
Colpisce inoltre il fatto che nell’azienda che aveva introdotto in Italia negli anni 60 la “job evaluation” (classificazione dei compiti) la maggioranza degli operai intervistati non sia in grado di definire la propria mansione. Questi elementi, insieme a molti altri affrontati nella indagine, mettono in luce l’alta incidenza che i fattori organizzativi e la priorità accordata alle esigenze produttive hanno sulle condizioni di sicurezza dei lavoratori.
Solo la scolarità pare differenziare la composizione delle maestranza dello stabilimento di Cornigliano da quello delle industrie siderurgiche extraeuropee, mentre questi operai rappresentano un modello di flessibilità e docilità per l’industria europea e non solo quella siderurgica.
Ed è proprio la scolarità, come dimostra la qualità delle risposte contenute nei questionari, un elemento importante che consente agli operai dell’ILVA di percepire fattori di rischio e carenze complessive del sistema interno, non solo di parte aziendale ma anche sindacale e degli enti pubblici preposti ai controlli. Indagine interessante per gli addetti ai lavori. che possono misurare la divaricazione già in atto tra operai Ilva e operai delle “Riparazioni Navali”, quale punto di partenza per impostare coerenti politiche di relazioni industriali, tutela della salute e sicurezza sul lavoro per chi opera in azienda come per chi lavora in appalto, sicuramente con più condizionamenti e per una retribuzione ancora inferiore.
(Vittorio Flick)