Buonavoglia. La rivoluzione dell’ascolto secondo Abraham Yehoshua

Come si possono ascoltare la vita e la morte di Israele? Elisabetta Pozzi dice che sì, ci sono i saggi, i documenti: si può partecipare al dramma del Medio Oriente, ma lo si percepisce con la mente, lo si comprende. Per viverlo, per sentirlo vibrare sotto la carne, allora servono i romanzi, come quelli di Abraham Yehoshua, invitato a Genova dal Circolo culturale “I Buonavoglia”.


Eccolo lì, sul palco del Teatro della Corte fra assessori e presidenti, giornalisti ed attori, fra angeli e cieli dipinti su tela dell’Andreini messo in scena da Ronconi.
Sono tanti i genovesi accorsi ad ascoltarlo, tante, forse troppe, le teste bianche; pochi i giovani e giovanissimi, come mi fa notare il mio accompagnatore, eppure, l’occasione è ghiotta.
L’uditorio è attento, partecipe, stizzito, quando il direttore del quotidiano “La Stampa” –per il quale lo scrittore è corrispondente da Israele– “confonde” vittima e carnefice (irritando un po’ anche l’autore); uditorio commosso nell’ascoltare l’israeliano leggere in ebraico un passo de “Il responsabile delle risorse umane”, il suo ultimo romanzo pubblicato da Einaudi: “responsabile” nel senso che ha, o dovrebbe, “avere cura” degli altri.
Yehoshua non vuole parlare a lungo di politica, anche se si concede volentieri alle domande, declinando il suo particolare modo d’essere “uomo di pace”, distinguendo tra artisti “che vedono il muro” e politici “che scoprono quel muro solo sbattendoci contro”, svelando il suo sogno (lontano a venire), quando Gerusalemme sarà luogo d’incontro di culture e religioni diverse, “di nessuno, perché di tutti”.
Per questo, dice, Julia, l’assente deuteragonista, è cattolica: palestinesi e israeliani, soli, non possono che continuare lo sterminio, perpetuare lo scontro. E il conflitto, per lo scrittore, è superabile solo a patto di sconfiggere l’indifferenza, la negazione dell’altro, accettando l’ascolto.
Il responsabile delle risorse umane non ricorda d’aver incontrato Julia, d’averle parlato, eppure, ne ha deciso l’assunzione. Solo ora che è morta in un attentato dovrà, suo malgrado, assumersene la responsabilità, scoprendola come essere umano e scoprendo, al contempo, qualcosa del suo essere “uomo”.
Ecco, questo chiede a noi Abraham Yehoshua lasciando il Teatro: non abbandonare i due popoli, ascoltare, comprendere, in qualche misura, appunto, “aver cura”; una via alla “rivoluzione” che trova il suo punto di forza nello spirito.
(Tania del Sordo)