Carceri – Pontedecimo: andiamoci in vacanza

Su Il Secolo XIX di domenica 21 settembre un articolo -seconda puntata di una inchiesta sullo stato delle carceri liguri- ci presenta la situazione della Casa circondariale di Genova Pontedecimo, il carcere “con le docce in cella”, dove le detenute non passano mai il tempo con le mani in mano, tutti lavorano e frequentano attività ricreative.
L’autore, Renzo Parodi, riporta affermazioni del deputato del Pdl Roberto Cassinelli, impegnato nel tour degli istituti di pena della Regione, e commenti e dichiarazioni del dott. Giuseppe Comparone, direttore dell’Istituto di Reclusione.
Il confronto fra l’articolo e la situazione presentata da chi a Pontedecimo ci lavora quotidianamente pare evidenziare due realtà se non diametralmente opposte, difficilmente convergenti.


Alcune divergenze nella rappresentazione possono essere racchiuse nelle stesse definizioni generiche del testo. Ad esempio: se a breve ci saranno le docce nelle celle, vuol dire che attualmente non ci sono, e in quali condizioni si lavano ora le detenute? Le celle poi hanno i “servizi in camera”: mica come in ostelli o alberghi di bassa categoria, dove si è costretti a dividere la stessa toilette con altre persone. Che fortuna! Glissiamo sul fatto che, essendo le detenute “recluse”, per ampia parte del tempo sono obbligate a stare in cella, che le celle sono chiuse, sono molte, e sarebbe quanto meno problematico per le stesse agenti gestire il traffico di settanta detenute che chiedono di andare al gabinetto, dovendo ogni volta aprire, chiudere, accompagnare, sorvegliare e richiudere.
E poi: all’interno del carcere è presente un nido per i bambini al di sotto dei tre anni, ma quali caratteristiche deve avere un luogo per essere definito “nido”? Vi è forse del personale specializzato? Può bastare la definizione per uno spazio utilizzato per “contenere” bambini e madri, e così definito da agenti e detenute semplicemente perché ospita i piccoli ignari reclusi, ingentilito da un tappeto morbido e da qualche gioco regalato da associazioni benefiche?
L’articolo poi ci rassicura sul tempo trascorso in attività dalle detenute: “mai con le mani in mano”. Ma è possibile indicare in quanti lavorano sul totale dei reclusi, per quanto tempo e a quale stipendio? E le attività riabilitative, (scuola a parte, garantita dall’ordinamento penitenziario e gestita dai normali istituti di istruzione esterni) quante sono, quali spazi occupano e per quanto tempo, e quanti reclusi? Simpatica poi la definizione di “celle singole” che ospitano due detenuti ciascuna. Spero non la adotti il prossimo albergo in cui prenoterò le ferie.
Il risultato è che, a qualche giorno di distanza dalla pubblicazione dell’articolo, la versione on-line presente sul sito del Secolo offre 19 commenti di cittadini genovesi giustamente innervositi dal fatto che chi ha commesso un reato possa avere una stanza con servizi e docce, pasti e pulizie gratuiti, teatro e corsi di ceramica albissolese e altre attività a costo zero, “Sky gratis in tutte le celle” e per di più un lavoro assicurato e retribuito, mentre fuori siamo costretti ad accettare tirocini a termine a 300/400 euro al mese per sopravvivere.
Sarebbe bello che Renzo Parodi andasse a visitare Pontedecimo e fornisse ai lettori numeri e descrizioni della realtà che si trova davanti, passeggiasse per “gli ampi corridoi”, visitasse i locali “relativamente confortevoli, soleggiati come abitazioni”, e offrisse ai suoi lettori una imparziale descrizione della vita in carcere.
Tanto per capire se vale veramente la pena andarci a passare una vacanza.
(Maria Cecilia Averame)