Beni culturali – 159mila candidati per 500 posti

Una ressa pari all’attesa di adolescenti euforici per la propria pop star, ma i protagonisti non sono inquadrabili in una fascia d’età, hanno 20, 30, 40 ed anche 50 anni, spesso i capelli sono tinti di bianco mentre l’euforia è sostituita da un’angoscia che si percepisce, negli sguardi e nelle parole.
“Stipati qui, come bestiame, dopo aver appiccicato quelle quattro nozioni inutili funzionali a passare le preselezioni, possibile che oggi il Ministero non abbia trovato un modo migliore per reperire personale? Valutare i titoli? Considerare i meriti?”.
L’occasione è il tanto sospirato concorsone del Ministero dei Beni Culturali, che giunge dopo otto anni dall’ultimo: per molti un’opportunità di carriera, per molti un’ancora nel mare in tempesta della precarietà, per altri una brezza di speranza nella bonaccia cupa della disoccupazione. La calca, stipata in un piano della facoltà di Economia, viene sfoltita pian piano. Le operazioni vengono svolte con solerte meticolosità, ed in circa tre ore le aule si riempono. Dopo la lunga attesa sulle scale, uno avvisa, comprensibilmente “Scusi, dovrei andare alla toilet”. “Non so se si può”, afferma con draconiano rigore uno dello staff. “Bisogna chiedere al presidente della commissione”.


Alla fine si giunge alla consegna dei questionari. Il silenzio è greve di tensione, c’è chi ripassa a bassa voce le anafasi della mitosi di una cellula, chi scrive sulle mani di joule e di farad, chi scarabocchia sui banchi assi cartesiani per rispolverare la trigonometria. Un uomo sui trentacinque, giunte le mani, abbassa il capo e prega a fil di labbra.
Per un’ora la concentrazione è assoluta: si combatte con i denti contro il tempo e contro il panico indotto un po’ dalla situazione presente, il concorso, un po’ dalla disperazione che attende chi non sarà in grado di saltare su questa zattera per naufraghi.
Minuti lunghi come ore e cento domande pesanti come grossi macigni: “possibile” è la domanda che nessuno fa apertamente, ma tutti, presumibilmente, formulano a se stessi “possibile che sull’apotema di questo cono si debba giocare il mio futuro? Possibile che sia la data di questi sublimi versi di Baudelaire a farmi fuggire dai miasmi pestiferi del precariato oppure a precipitarmi nel baratro?”. Più di 159mila, gli iscritti in tutta Italia, ma sulla zattera c’è posto per 500, ed ogni posto val bene l’umiliazione di questa farsa. Coi tempi che corrono.
(Eleana Marullo)