Genova città dell’Unesco e dei cancelli

Vi domando: si possono ancora chiamare fatti gli eventi di cui la stampa quotidiana o la televisione non parlano? Perché in città succedono fatti gravi o almeno importanti di cui nessuno sa e quindi nessuno parla, come se non esistessero. Fatti di cui a volte sono a conoscenza un po’ di persone che però non hanno il prestigio o i legami politici o la confidenza con le parole per farli conoscere fuori della loro cerchia. Fatti che tutti invece dovrebbero conoscere non per denigrare quel politico o per sollevare i soliti mugugni ma perché sono importanti per capire cosa sta succedendo in questa città, e come affrontare i suoi problemi.


Sabato 17 gennaio – tanto per fare un esempio – da Piazza Banchi è partito il “tour dei cancelli”. Su un volantino – privo di data e con una firma Coordinamento dei comitati genovesi purtroppo priva di recapito – le mete del tour: i cancelli di ferro che mese dopo mese si sono diffusi nel centro della città. Sprovvisti di citofono e apriporta – chissà se esiste una istituzione che si occupa dei rischi che corrono i cittadini chiusi nei recinti (ma anche quelli che abitano nelle zone limitrofe) in caso di urgenze mediche, incendio o altro? – i cancelli hanno attualmente raggiunto il numero di 25.
Come si arriva alla decisione di erigere un cancello? La risposta del volantino che convoca il tour, è semplice: abbandonando una zona. E lo dimostra offrendo una documentazione puntuale di ogni intervento: “Il vicolo viene lasciato al degrado, la strada non viene riparata per anni, il vicolo diventa sgradevole, a volte mal frequentato”. A questo punto i cittadini abitanti insorgono: non ne possiamo più, dicono. E la loro protesta ha le parole dei nostri tempi: sicurezza, sicurezza, sicurezza. La risposta del Comune sono i cancelli: dichiarati provvisori al momento in cui sono stati collocati sono diventati una soluzione stabile, l’unica offerta dall’amministrazione. Così stabile che hanno permesso il fiorire di microeconomie: a fianco dei parcheggi abusivi di moto era inevitabile che sorgesse un mercato di “posti moto”; per non dire della possibilità di procedere a ogni genere di commercio in condizioni “sicure”, protetti da solidi cancelli.
Com’è possibile, chiede il volantino, che un bene comune come uno spazio pubblico o una strada vengano sottratti alla comunità sia pure con la scusa della provvisorietà dell’intervento? Com’è possibile che l’unica risposta a una ragionevole richiesta di pulizia, di decenza, di bonifica sociale sia chiudere a chiave uno spazio? Possibile che qualcuno pensi di risolvere problemi di tale portata che con la creazione di decine di piccoli ghetti?
Non credo che sia facile rispondere a queste domande ma non è più colpevole ignorarle? Ieri, passando davanti al cancello di vico dell’Umiltà dalle parti di S. Matteo ho visto che qualcuno ci aveva appeso un cartello “Genova città dell’Unesco e… dei cancelli”. Mi sembrava un fatto importante e ho pensato di segnalarvelo.
(lettera firmata)