Galata – Una “Merica” ingannevole

Una visita alla mostra “La Merica! Da Genova a Ellis Island” in corso al museo Galata mi lascia scontenta e irritata, ma scorrendo commenti e recensioni su internet mi accorgo di essere completamente isolata: ovunque si parla di una grande mostra, che fa vivere una esperienza “diversa”, un allestimento “straordinario” che restituisce emozioni e suggestioni…
Appunto. Diciamo che non ho nessun desiderio di essere “suggestionata” da una mostra. Desidero piuttosto ricevere una nuova conoscenza: l’emozione dipenderà dalle informazioni che mi vengono offerte, da quanto sono collegate tra loro secondo un senso, da quanto efficacemente sono sfruttate le molte possibilità comunicative di cui oggi disponiamo: pannelli informativi, documenti originali, fotografie, video e documentari, registrazioni audio, computers …


La suggestione ambientale ricreata in questa mostra mi pare, piuttosto, un inganno, probabilmente anche piuttosto costoso: “una sezione di piroscafo, ricostruita sui piani originali del Galata Museo del Mare, lunga 15 metri, larga 8, alta 6: due piani di ricostruzione dettagliata che comprendono camerate maschili e femminili, bagni, cabine, Refettorio, prigione… la virtualità – già efficacemente applicata nel Galata Museo del Mare – permetterà di avere la sensazione e anche la visione di un piroscafo in viaggio, con le varie condizioni del mare e del giorno” Tutto questo permette davvero al visitatore di vivere una esperienza che lo avvicina a quella degli emigranti? Ma non scherziamo. In questi anni sono state organizzate mostre basate non sul racconto, ma sulla sperimentazione di condizioni esistenziali. Una, in particolare, va ricordata: quella in cui si doveva affrontare un percorso al buio totale, guidati da una persona non vedente. Una breve esperienza della cecità da dove le persone uscivano emotivamente scosse. Ma nel caso di “La Merica” siamo al parco divertimenti, infatti i bambini, giustamente, si divertono. Un allestimento “accattivante” è il mezzo per attirare un pubblico che altrimenti non verrebbe? Bene, ma non ha senso ricostruire nel dettaglio la mensa o la camerata e poi dare solo notizie generiche e banali. Non c’è una mappa che faccia vedere da quali paesi, da quali zone d’Italia, provenissero gli emigranti. Nulla sui paesi del nostro entroterra più colpiti dalla emigrazione, nulla sulle cause, sulle conseguenze per il territorio abbandonato, sulle ricadute economiche delle rimesse. Nulla su quel che poi fecero in America: tutto quel che viene detto è che la gran parte si fermò a New York, dove “fece vivere Little Italy”, mentre gli altri andarono un po’ a sud, un po’ a est e un po’ a ovest soprattutto a lavorare nelle fabbriche.
Solo a fine percorso si trovano una ventina di schede che raccontano altrettante storie. Per il resto le vite personali vengono rese nelle postazioni “multimediali” attraverso racconti scritti ex novo che assumono inesorabilmente il tono fasullo della storiella. Ascoltarli seduti su una cuccetta finto disfatta non migliora la situazione.
Il confronto con la dettagliatissima e – questa sì – emozionante documentazione documentaria ed iconografica del museo di Ellis Island è addirittura impietoso.
(Paola Pierantoni)