Etichetta – Io, tu, lei, noi, voi, loro

Trascuriamo i negozi e i locali trendy dove il tu viene elargito d’obbligo a chiunque ne varchi la soglia, ma in luoghi più tradizionali quasi fatalmente il gentile impiegato allo sportello o il cortese commerciante dietro l banco, pur mantenendo magari la stessa disponibilità e cortesia, passano subitaneamente dal “lei” al “tu” quando il cliente che si trovano davanti è un immigrato.


La cosa, più volte sollevata in conversazioni varie, riceve sempre la stessa risposta: è il modo più facile e naturale per comunicare, infatti sono gli stessi immigrati, per primi, ad usare il tu. La spiegazione si presenta logica e credibile, ma non supera la prova dell’ascensore. Nel palazzo dove abito la metà almeno dei numerosi inquilini è straniera. Molti appartamenti sono in affitto, ed il turn over è abbastanza elevato, quindi in sei anni mi è capitato di raccogliere un campione abbastanza ricco di interazioni in ascensore, la cui sintesi è che quando ci si rivolge al compagno/a di viaggio chiedendo “Lei a che piano va?” la risposta, nella maggioranza dei casi è: “Io al settimo, e lei?”. Certamente, capita anche l’immigrato arrivato da poco, che articola in italiano poche parole essenziali, e che non usa né il “lei”, né altro. Ma alla maggioranza che al “lei” risponde col “lei”, e che quindi distingue benissimo le due forme, nelle proprie interazioni quotidiane tocca subire un incalcolabile numero di volte la svalutazione implicita nell’uso differenziale del pronome colloquiale. Per capire come non si tratti di un fatto marginale o neutro basterebbe osservare il lampeggiare dello sguardo di qualche giovane immigrato o immigrata di seconda generazione, quando ha la pazienza di raccontarti qualcuno degli episodi che ha diligentemente e indelebilmente annotato.
(Paola Pierantoni)