Migranti – Sant’Egidio e il sogno dei black italians
Claudio, che è un ricercatore all’università e maestro volontario di italiano agli immigrati, tiene a braccetto Saliou: un metro e novanta di muratore senegalese con una coccina terribile. Insieme se la ridono mentre la band intona una vecchia canzone di Toto Cotugno; «lasciatemi cantare, con la chitarra in mano», cantano a squarciagola e sul finale, alzano ancora la voce: «io sono un italiano, un italiano nero».
Domenica. Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato. Chissà dove sono andati a ripescarla questa ricorrenza, quelli della Comunità di Sant’Egidio: era il 1914 e un papa genovese, Benedetto XV, alla vigilia della Grande guerra proclamò una giornata in cui riflettere sul dramma dei rifugiati.
Allora i migranti si chiamavano Natalina ed Amedeo e si imbarcavano da Genova verso altri continenti. Oggi sono Bilal e Carmen: raccolgono le nostre arance e accompagnano a fare la spesa i nostri nonni, cioè i fratelli di Natalino ed Amedeo. Le immagini di Rosarno hanno colpito tutti, non c’è dubbio. Ma forse quello che desta più preoccupazione è il pensiero dell’alternativa: se non Rosarno, che cosa? «Vivere insieme – mi spiega con calma Claudio dopo aver smesso di cantare – non è una cosa che si può improvvisare, ma è un arte che richiede pazienza, studio, immaginazione».
Ecco il perché di questa festa: “Impariamo a vivere insieme”, l’hanno chiamata. E c’erano veramente tutti, a Palazzo Ducale, nel “salotto buono” della città, sotto lo sguardo compiaciuto del padrone di casa, il “doge” Luca Borzani: nigeriani e somali, albanesi e romeni, ecuadoriani, filippini, bengalesi, rom. E poi, ovviamente gli italiani: tanti giovani, ma anche anziani e bambini. Hanno fatto festa, ballato, hanno ascoltato le testimonianze di molti di loro e le parole piene di sapienza di don Marino Poggi. La sindaco è intervenuta – qualcuno dice di averla vista ballare – e ha detto qualcosa di piccolo, ma importante: «non mi rivolgo a voi come a stranieri, ma come a genovesi».
Eccolo, il centro della questione: l’alternativa a Rosarno è l’integrazione vera, è il sogno di eurafricano di Senghor, è la prospettiva che un giorno si potrà dire italo-africano con la stessa naturalezza con cui si dice afro-americano. Per dirla con Claudio e Saliou: un italiano nero.
È un sogno, certamente. Ma è anche una proposta di legge da anni in parlamento con la speranza che venga finalmente approvata: una riforma che permetta ai figli di immigrati nati in Italia di ottenere la cittadinanza per evitare il paradosso di ragazzi che si sentono italiani, ma che non lo sono.
Nella confusione della festa, il giornalista della Rai cerca i somali per intervistarli. Qualcuno si guarda attorno: «saranno andati a lavorare». L’unico che sorride è Claudio, che è il loro maestro e li conosce bene. Quando arrivano, un paio hanno il muso lungo. «È che ha perso il Genoa – li sfotte Claudio – sono passati al bar a vedere la partita».
Condividere le gioie e i dolori. Anche questa è cittadinanza.
(Sergio Casali)