Elezioni – Il lavoro che non c’è

Pisa, 13 marzo sera, aeroporto deserto ai check-in e gran folla di genitori in attesa ai gates di Londra e Valencia: conclusi i trimestri di corsi di lingua o di Erasmus gli studenti tornano a casa. In omaggio alle tre “i”, inglese, informatica, innovazione, i baby boomer, ora genitori, fanno quello che possono per i loro figli. I nati al tempo del miracolo economico, per alcuni parassiti, ladri di futuro, per altri protagonisti della propria crescita, figli di un’epoca in cui il lavoro e libertà erano fondamentali, si fanno in quattro perché i loro ragazzi abbiano più chance, se riescono a permetterselo. E il divario della mobilità sociale si accentua.


C’è una repubblica costituzionale fondata sul lavoro e una materiale, fondata sulle chiacchiere. Oggi più che mai però ai cittadini interessa la prima, ovvero preoccupa il lavoro se, come sostiene Ipsos, il 28% delle persone considera grave la situazione politica, ma il 73% tema più urgente l’occupazione. Sotto traccia rimane la disoccupazione giovanile: passa il messaggio di personcine comode, coccolate in famiglia, che rinviano l’ingresso nel lavoro, per scarsa determinazione o flessibilità, non il lavoro che non c’è.
Brilla in questi giorni la caccia al posto estivo nei villaggi turistici.
Eppure con l’invecchiamento della popolazione, costi crescenti di pensioni e sanità, bisognerebbe auspicarsi nuove forze produttive, in grado di contribuire a sostenere il tutto. I policy maker si mostrano allarmati soprattutto sotto elezioni, così politici e sindacati s’infervorano per il futuro e per i poveri giovani.
In città la parola “lavoro” appare da subito sui manifesti azzurri: si restava un po’ spiazzati a non vederla negli slogan della parte politica che di solito è dalla parte dei lavoratori. Poi è iniziata la storia di Luca ed Elena, meno male!
Il tema lavoro divide aspramente. Sono i fondi regionali a finanziare la cassa integrazione e si dichiarano supporti a piccole imprese, mentre si evidenziano dati pesanti per l’economia, dalla metalmeccanica a -17% del fatturato, al -30% dei traffici portuali, con nautica e cantieri in crisi: le crociere aumentano su navi fabbricate altrove. Intanto si stabilizzano precari nel pubblico, arrivano bandi per nuovi poli di progetti industriali, come l’esperimento a Ferrania stavolta con il fotovoltaico.
Tanta cassa con i precari appena sfiorati, aumenta la disoccupazione, quella giovanile in Liguria simile al Sud e così si attivano fondi per premiare l’iniziativa imprenditoriale. Fattore decisivo, si dice, è tornare attrattivi per i giovani, già molti studenti stranieri alla nostra Università, il social housing che aiuta e l’IIT, in cui un ricercatore su tre viene da fuori. Aspettando gli Erzelli, l’high-tech tira con l’eccellenza Esaote. Speriamo nel futuro. La destra vuole semplificazione, propone il taglio Irap alle imprese, ma non spiega la copertura, attacca sulla sanità ed evoca l’emergenza giovani, non i rimedi.
Il fatto è che siamo una regione di vecchi, dal 30% di under 24 degli anni 60, si passa oggi al 12%, con gli over 65 da 95mila a 166mila e 200mila abitanti in meno.
Chissà se i ragazzi seguono le statistiche o la politica. Tranne i giovani-panda schierati in tutti i comizi bipartisan, sono probabilmente impegnati su Infojob. E un dubbio resta: i precari stabilizzati dalla Regione come sono stati scelti?
(Bianca Vergati)