Lavoro – Uno strano collocamento

Mettiamo un Ufficio provinciale del lavoro e una data come il Primo aprile. Un ex imprenditore legge in sala di attesa i vari cartelli che invitano a fare da soli, a staccarsi dal lavoro subordinato per diventare padroni di sé stessi, con varie offerte, anche quella del passaggio del testimone, simboleggiata da una pialla da falegname che passa da una mano antica ma esperta ad una giovane e desiderosa di imparare. L’ex imprenditore pensa: mai più. Mai più commercialisti distratti, leggi ininterpretabili, visite a sorpresa di ufficiali impegnati a far cassa, cercando microscopiche grinze nella gonna stirata di una azienda onesta, mai più dipendenti, mai più nottate a mettere a posto la contabilità, come al solito in ritardo per far posto al lavoro da fare.


Il numero viene chiamato, l’iscrizione alla lista di mobilità eseguita in pochi minuti, dopo aver spiegato anni di esperienza. Una data, sperata invero, del colloquio di orientamento, con l’intenzione di provare almeno a cambiare settore, rispolverando magari giovanili attitudini, sopite dalle diverse occasioni della vita.
La data arriva, tranquilla, con le sue speranze. Primo inghippo: dopo una rapida intervista, l’orientatrice esclama stupita: “ma lei risulta inoccupato, non disoccupato!”. Che differenza c’è? La differenza di termini gergali, la prima a significare la totale mancanza di un passato lavorativo, un vuoto di punti interrogativi per chi, non più giovane, si scopre come inadatto al tipo di servizio cercato: non è contemplato passare da autonomo a dipendente. La funzionaria spiega: basterebbe un certificato di attribuzione della partita Iva, per poter cambiare lo stato in disoccupato, ovvero senza i punti interrogativi sulla fedina penale, ops curriculum vitae. Si concorda un nuovo appuntamento e l’istruzione su come fare.
Agenzia delle entrate qualche giorno dopo: il certificato costa 28 Euro, sarebbe gratis in caso di partita aperta, ma essendo già stata chiusa occorrono due marche da bollo. “Andrò a rubare”, è la risposta di chi, alla ricerca di un’iscrizione al collocamento per trovare un’occasione di lavoro, si vede intanto chiedere dei soldi. In un altro Ufficio provinciale spiegano che basterebbe una copia dell’apertura della partita Iva, mentre la chiusura potrebbe essere fatta in autocertificazione. Si ritorna quindi al primo ufficio, dove fanno fatica a comprendere che “le mansioni lavorative accertabili” nel caso di un libero professionista possono essere solo autocertificate, visto che datore di lavoro e lavoratore coincidono, purtroppo, in un unico corpo umano. Però è un concetto che l’impiegato, sopito nella sua routine impiegatizia, non riesce a inquadrare pienamente: che sia ignaro dell’esistenza del mondo del lavoro autonomo? Così inserisce un po’ di dati e poi fa l’uscita fina le: “ecco, adesso però manca il certificato di chiusura della partita Iva, quindi risulta occupato”. E’ inutile spiegare che indietro non si può tornare, il sistema non lo prevede. Resta solo da fare un reset, non al cervello dell’impiegato come sarebbe stato logico, ma alla propria scheda: “mi cancelli, per favore, meglio inesistente che occupato”. Modulo, firma, copia: era un Pesce d’aprile: grazie, alla prossima puntata.
(Stefano De Pietro)