Storie. Ragazze in fabbrica anche la domenica

Questa estate visitando la mostra “Genova del Saper Fare, Lavoro, imprese, tecnologie”, mi ero arrabbiata moltissimo perché in quello che, secondo le parole degli organizzatori, doveva essere un “affascinante viaggio attraverso il passato, il presente e il futuro della città… un “viaggio” attraverso lo spazio ed il tempo delle vicende che hanno visto la Genova del saper fare protagonista della storia che va dalla fine dell’Ottocento a oggi, con uno sguardo sul domani”… le donne non c’erano. Quindi non c’era la città, non c’era la storia, non c’era il lavoro, ma solo un parziale spicchio di tutto ciò.


C’era invece, una volta di più, l’auto rappresentazione di una parte che si faceva tutto, e che imponeva questa immagine parziale e falsa come fosse l’icona e la memoria del lavoro a Genova. Avevo espresso apertamente la mia irritazione al curatore della mostra, e ne avevo ricevuto la sconcertante risposta che l’assenza da me lamentata era dovuta al fatto che il lavoro delle donne era in definitiva un fatto abbastanza recente. Da non credersi.
In questi giorni in città questa parte separata e negata tenta di dar segno di sé attraverso due mostre. La prima, “Ragazze di fabbrica”, è ospitata al Centro Civico di Cornigliano e all’auditorium della Manifattura Tabacchi a Sestri Ponente; la seconda, “Trenta anni fa l’occupazione della Pettinatura Biella” si trova presso il Centro Ligure di Storia Sociale a Palazzo Ducale.
La stampa si è accorta pochissimo di questi eventi: un articolo del Secolo XIX per la Pettinatura Biella, un articolo sul Mercantile ed uno sul Corriere di Sestri Ponente per le “Ragazze di fabbrica”. Peccato. Perché a chi gira per le sale delle mostre – anche se non può usufruire delle mirabili tecnologie multimediali utilizzate per “Genova del Saper fare” – viene incontro un mondo interessante: tessitrici e metalmeccaniche, sigaraie e salatrici di acciughe, operaie in fabbriche dolciarie e di conserve, nelle lavanderie industriali e nei saponifici. Ostetriche. Balie. Cucitrici nelle industrie dell’abbigliamento. Infermiere. Operaie alla Ceramica Vaccari. Maestre. Cucitrici e tessitrici a domicilio. Impiegate. Donne (più di 3.000) a fabbricare proiettili all’Ansaldo durante la prima guerra mondiale. Donne in grembiuli e cuffie “perché ciò conferisce ad esse ed anche all’officina un aspetto rassettato e decoroso”. Donne con la silicosi. Donne prima serie e severe, con gli abiti lunghi, vicino ai torni e poi cacciate dal lavoro al termine della guerra. La sala della manifattura tabacchi piena di culle. Donne dello stabilimento Ansaldo Fiumara che protestano per ottenere “almeno un giorno per settimana – la Domenica – per il riposo, la pulizia personale e l’assetto della casa”. Operaie che, come recita il cartello affisso dietro di loro “Lavorano duro, secco, sodo, in obbedienza, possibilmente in silenzio”. Pioniere come Maria Loseff che si laurea in medicina nel 1917 ma riesce ad esercitare nell’ambulatorio pubblico solo nel 1923, dopo una petizione della popolazione femminile del quartiere…
L’8 marzo si chiude: i semplici pannelli con fotografie e dati su fabbriche ormai scomparse, scompariranno anch’essi.
Resta il profondissimo rimpianto che Genova 2004 non sia stata capace di capire e di far capire che il lavoro è parte determinante della sua cultura, e che quindi ne abbia parlato poco e malamente.
(Paola Pierantoni)