OLI 316: INFORMAZIONE – The danger of a single story – dal Festival dell’Internazionale all’etica dell’informazione

Disegno di Guido Rosato

Chimamanda Adichie è solare, bella e simpatica. Ha un fascino che condivide con i suoi colleghi speaker di Ted: raccontano storie, fresche e curiose, ricche di  lezioni che non è necessario spiegare. Le capisci da te.
Figlia della media borghesia nigeriana, lettrice e scrittrice precocissima, in Nigeria leggeva e raccontava di bambine bionde con gli occhi azzurri; di mele e birra al ginger, della neve e del tempo: creava personaggi nati dall’unica storia che aveva avuto modo di leggere ma che non aveva mai incontrato né sperimentato, quella della letteratura occidentale. Dovendo andare a trovare la famiglia del ragazzo occupato presso la sua casa, in Nigeria, si prepara a conoscere una “famiglia povera”, così come rappresentata dall’unica storia che raccontatale da sua madre; si sorprende di trovare persone che lavorano la rafia, che fanno anche delle cose, oltre ad essere povere.
Fin qui il video, che consiglio di vedere perché … è bello: fatto di tante “single story”, tanti racconti univoci di “una realtà” che è sempre più complessa di come ce la rappresentano e di conseguenza dell’unico modo in cui la rappresentiamo.

Al Festival dell’Internazionale, dalle storia a senso unico sulla Nigeria, l’Africa e la sua gente, mi trovo in breve a riflettere sui media e sulle storie a senso unico che quotidianamente ci propinano sulle questioni che ci stanno a cuore: il carbone pulito e le multinazionali dell’energia, che ci salveranno dall’effetto serra e dalla crisi economica con i loro investimenti sulle rinnovabili (fine della storia); i medici e l’asl, che si occupano di prevenzione e salute a partire dalla rilevazione precoce della malattia (fine della storia).
Solo fulgide eccezioni qua e là raccontano “storie multiple”, che tolgono le cornici a quelle singole permettendo loro di contaminarsi. Solo allora, ad esempio sull’energia, si può vedere il corto circuito che si è determinato dopo l’esito referendario sul nucleare: combattiamo l’effetto serra e contestualmente convertiamo le centrali all’uso del carbone per mantenere elevati i profitti delle multinazionali, contro la crisi economica, per la salvaguardia dei posti di lavoro, a prescindere dai costi per la salute e dalla salute medesima.
Se facciamo la stessa operazione con l’energia pulita, vediamo che per produrla deforestiamo l’Amazzonia, interrompiamo i corsi dei fiumi della Patagonia e occupiamo militarmente i terreni agricoli della Puglia con ettari di campi fotovoltaici, con buona pace delle associazioni ambientaliste che partecipano agli utili mentre, naturalmente, si battono per lo stop al consumo di territorio.
Parliamo di salute e prevenzione?  C’è qualcuno che considera opportuno che la prevenzione comprenda la riduzione degli agenti inquinanti? Che la salute debba sconfinare dalla “cornice sanitaria”  a quella “ambientale”.
Un delirio? Sì, un delirio di storie raccontate sempre da un solo punto di vista su una sola dimensione. Sarà che chi racconta le “storie a senso unico” sceglie, consapevolmente, di non uscire dalle “cornici”? Il giornalismo, il giornalista, se non in grado di toglierle, può almeno renderle visibili? Come ha fatto Chimamanda Adichie con le sue? Possiamo, in qualche modo, chiamarla etica dell’informazione?
(Daniela Patrucco)