Treni. La Bastiglia dei pendolari

L’iniziativa l’ha presa il direttore di “Repubblica-il Lavoro”. Basta con le lamentele – ha scritto (5 settembre). Se i giovani vogliono entrare in politica devono farsi avanti e prepararsi, (come aveva già scritto l’11 luglio) a “tirare fuori gli attributi”. Basta urli – era la conclusione – piuttosto, se necessario, “qualche cazzotto e qualche presa della Bastiglia”.


Il 12 settembre un nuovo proclama: “La politica sembra diventata l’attività per sistemare i propri uomini. Quanto tempo ancora per coprire la grande tela di ragno…?” Se i giovani di belle speranze, degli affari e delle professioni, ci sono, questo è il momento di farsi avanti”.
I maliziosi avevano pensato che gli appelli di “Repubblica-il Lavoro” fossero pensati a misura di un gruppetto di politici di seconda fila che si stanno candidando alla successione nelle varie famiglie partitiche. Ma il caso ha voluto che coincidesse con un altro dibattito, meglio lo scontro da tempo aperto con Trenitalia dai pendolari che giornalmente vanno a lavorare a Milano.
“Il problema – ha scritto uno di loro (12 settembre) non sono gli arzilli settantenni ma il deteriorarsi del connettivo che rende viva la città e la regione. Si dovrebbe cercare di ridurre l’emorragia. Il calcolo anagrafico (nda, la storia del potere ai trentenni) è solo un inutile schermo”. Altri hanno fatto eco. Non solo, hanno scritto, andiamo a lavorare fuori città perché la politica locale non riesce a creare situazioni favorevoli alle nostre attività, ma lo facciamo in condizioni di trasporto a dir poco schifose. Ritardi quotidiani e condizioni di viaggio penose: cessi guasti, luci difettose, condizionamento a singhiozzo. Per non dire – di fronte alle nostre proteste – delle risposte presa in giro da parte di Trenitalia.
Treni e politica? Proprio così, ha detto qualcuno in una recente assemblea di pendolari inc. La classe dirigente cittadina dovrebbe ormai prendere atto che il cuore della politica locale è nelle vetture scalcagnate di Trenitalia. Lì si legge, si discute, ci si informa sugli affari e le iniziative che contano: per di più, a differenza di altri luoghi della politica, le assenze sono poche e sempre giustificate, i dialoghi sono brevi, essenziali. E niente gettoni di presenza; anzi: per partecipare si paga l’abbonamento. Insomma in treno si fa sul serio.
E i politici? Forse hanno cominciato ad abbozzare. Un deputato locale ha detto: “bisogna mantenere un faro acceso sulle ferrovie”. A “il Lavoro” (20 settembre) la dichiarazione è apparsa così sensazionale che ha titolato “Caos treni: viaggiatori e politici uniti nella lotta”. Ma i politici viaggiano in treno?
(Manlio Calegari)