Vergogne – Il giorno del ricordo secondo la destra

In un silenzio stampa quasi totale è iniziato l’8 febbraio a La Spezia il processo contro quattro SS accusati di essere i responsabili della strage di Marzabotto, una delle stragi nazifasciste più efferate, in cui furono uccisi più di ottocento civili tra il 29 settembre e il 12 ottobre 1944. Con imputati ormai ultra ottantenni (in contumacia) è evidente che l’azione penale è di fatto diretta non a fare giustizia, ma a restituire almeno la verità, a ricordare.


Il processo è stato reso possibile dal ritrovamento nel 1994 di fascicoli di documenti nell”’armadio della vergogna”.
La storia di questo scandalo è diventata nota grazie a un giornalista dell’Espresso, Franco Giustolisi (L’armadio della vergogna, Nutrimenti, 2004). A guerra finita cominciarono ad arrivare a Roma, nella sede della Procura generale militare i fascicoli degli omicidi commessi dalle SS e dalle milizie fasciste. Non in azioni di guerra e nemmeno “rappresaglie”. Nei fascicoli erano descritti omicidi e massacri commessi a danno di popolazioni civili. Riguardavano 15.000 vittime; insieme ai loro nomi, c’erano quelli degli assassini e le località dove erano stati commessi i crimini. I 695 fascicoli furono confinati in un armadio. Aveva le ante chiuse a chiave, rivolte verso il muro e così rimase, ben protetto e inaccessibile, per cinquanta anni, fino al 1994.
Ci vollero ancora quasi 10 anni perché, nel 2003, fosse nominata una “Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti”. Doveva indagare sulle anomale archiviazioni “provvisorie” e sull’occultamento dei fascicoli. La relazione finale della commissione è stata messa in questi giorni ai voti e approvata a maggioranza (15 contro 11).
La relazione, scritta e mille volte rimaneggiata da Enzo Raisi (AN), è un totale insulto alla verità; è inaccettabile per le omissioni che contiene, ha detto Carlo Carli, capogruppo Ds in Commissione e autore di una relazione di minoranza (l’Unità, 8 febbraio 2006). Il documento Raisi esclude che ci sia stata una regia sotterranea e precostituita nel nascondere, per anni e anni, i fascicoli delle stragi nell’armadio della vergogna. Fu semplice negligenza. Nessuna responsabilità, nessun insabbiamento.
E’ questo il contributo della maggioranza di governo al 10 febbraio, al “giorno del ricordo”? Un giorno dedicato al ricordo delle vittime italiane delle foibe e dell’esodo forzato dall’Istria e dalla Dalmazia. “L’Italia non può e non vuole dimenticare” ha detto Ciampi ai familiari delle vittime (Reppublica, 10 febbraio). Giusto.
Qualcuno però è stato dimenticato. Nell’armadio della vergogna, tra i criminali di guerra richiesti nel dopoguerra dalla Jugoslavia, giacevano “negligentemente dimenticati” alcuni criminali di guerra accusati di reati gravissimi dagli Stati che il fascismo aveva invaso e occupato sino all’8 settembre 1943. Erano alcuni tra i maggiori responsabili dell’odio seminato dall’occupazione fascista nei Balcani: il capo di stato maggiore Mario Roatta (celebre per la formula “non dente per dente ma testa per dente”), il governatore della Dalmazia Giuseppe Bastianini, il generale Alessandro Pizio Biroli, comandante della IX armata di stanza in Albania, governatore del Montenegro, il generale Mario Robotti, comandante dell’XI armata dislocata in Slovenia (“Qui ne ammazziamo troppo pochi”). Nessun processo a loro carico è mai stato celebrato in Italia.
(Oscar Itzcovich)