Duelli? – I faccia a faccia TV, occasione perduta

“Lei non sa chi sono io!” diceva un tronfio Castellani al beffardo Totò in una celebre sequenza. C’è molto di questo spirito nella versione italiana dei confronti televisivi tra leader politici, tanto invocati dall’opinione illuminata del nostro paese.


Perché dal modello anglosassone, intriso di politically correct, il passaggio alla maniera italiana condisce i duelli in TV di goffo perbenismo, facendo loro perdere qualsiasi valenza di servizio, di strumento di formazione del consenso popolare, senza modificare peraltro la cifra di questi dibattiti, che si caratterizzano per la inconsistenza e la lontananza dalla realtà.
Abbiamo visto persino Bertinotti, fascinoso campione dell’affabulazione telecratica ma abituato quantomeno a sviluppare ragionamenti apprezzabili, trastullarsi nella enunciazione di concetti schematici e prevedibili, quasi slogan, sfoderati al dirimpettaio come in un copione, nel quale il “minutaggio” (sì, ora abbiamo anche questo neologismo) scandisce i tempi di una recita da pupi. Tali appaiono infatti i nostri uomini politici quando parlano e si atteggiano su argomenti invero scottanti, non già in base ad un punto di vista onesto, sviluppato sulla scorta del proprio patrimonio ideale arricchito dall’osservazione della realtà, bensì a seguito di valutazioni studiate a tavolino con il contributo dei consulenti mediatici. Lui attacca con il conflitto d’interessi allora io replico con l’affaire Unipol; lui mi rinfaccia le candidature di estremisti di destra ma io ribatto con i disordini di Milano. E della verità del paese, della società vera, della vita della gente? Solo tracce sbiadite.
Quando poi, sull’onda della salvaguardia di uno stile corretto ed elegante (ed invero gradito) si arriva alle strette di mano e alle formule di reciproco rispetto ci sta che qualcuno avverta aria di pastetta. Che magari non è: non dobbiamo dispiacerci se D’Alema e Fini motteggiano mentre discutono e danno l’impressione di stimarsi personalmente sia pure da opposti versanti. Ma come fa la gente a rilevare le differenze delle loro posizioni se le uniche cose che servono, approfondimento e riflessione, non hanno spazio in queste trasmissioni?
Eppure la televisione era suscettibile di ampliare la tribuna e intensificare il rapporto governanti-governati. In fondo questi faccia a faccia, passando attraverso l’antica tribuna politica di Jader Jacobelli, sono gli eredi del comizio di piazza, rispetto al quale beneficiano della straordinaria capacità del mezzo televisivo di raggiungere un numero spropositato di persone. Cionondimeno i confronti alla Pajetta, Malagodi, Almirante, e ancor più l’epopea dei grandi comizi del dopoguerra, dei manifesti propagandistici grotteschi, incollati e strappati, delle scritte a pennello sopra i muri, ci riportano ad un’epoca di maggior partecipazione popolare alla politica.
Insomma la televisione allontana invece di avvicinare. La stessa contraddizione caratterizza il reality show: niente è più irreale di quello, perché niente è più artificioso, riprodotto in laboratorio, come artificiali, quelli propriamente, sono i talk show trash con rumorosi scontri verbali da strapaese stile Pappalardo versus Er Mutanda.
Questo connotato di estraneità alla realtà, questa lontananza dai problemi reali della società è in perfetta sintonia quindi con il distacco dalla politica, con il disinteresse nei confronti dell’amministrazione della cosa pubblica, recepita come mera disputa di potere, che da tante parti si lamenta. E allora sia pure il confronto in TV, con la par condicio e il minutaggio, ma non contrabbandiamo tutto ciò per democrazia avanzata e civilizzazione. Con Totò, “ca niusciuno è fesso”.
(Gianmario Fattori)