Cronaca/2 – Siamo svedesi? No ma quasi

Durante il ventennio -sia detto per memoria storica, non per riesumare precedenti ingombranti- le notizie dei suicidi non si pubblicavano. La motivazione ufficiale era che avevano un effetto “contagioso”. Ma in realtà venivano ignorati o ridotti al minimo tutti i fatti di cronaca nera, compresi i più gravi.


La vera ragione era che il regime non voleva ammettere che, sotto il fascismo, qualcuno potesse togliersi o togliere la vita. Come se il titolo di un gesto disperato o violento intaccasse l’immagine -invero piuttosto fragile- della felicità del popolo in camicia nera.
Finite, nel modo più tragico, certe illusioni, la cronaca si prese la sua rivincita sulla lunga censura, sommergendo letteralmente quotidiani e settimanali di delitti, rapine, squartamenti con bollitura, ante-litteram, di cadaveri e cadaverini. Durò anni l’orgia granguignolesca, ricca dei più efferati particolari di bassa macelleria. Poi anche la stampa raggiunse l’età della ragione e sui quotidiani si affermarono forme di reportage più evolute, anche più colte, mutuando linguaggio e contenuti dai rotocalchi che avevano fatto scuola.
La successiva legge sulla privacy, ma soprattutto un mutato costume più attento ai diritti dei singoli verso la riservatezza e la tutela della personalità, tagliò per così dire le unghie a un tipo di giornalismo investigativo quanto aggressivo che andava per la maggiore. Il principio, sancito per la prima volta da un ombudsman svedese, per cui non si doveva pubblicare il nome di un killer, “in quanto il danno del dolore arrecato alla sua famiglia era superiore al pur legittimo diritto di informare l’opinione pubblica”, ha fatto strada. Oggi possiamo dire che anche da noi la cronaca è sostanzialmente più civile, che ha maggior rispetto dei cittadini finiti in pagina, compresi i meno difesi?
Salvo eccezioni, la risposta può essere di larga massima affermativa. Semmai, le pecche delle cronache locali – distrazioni, silenzi, compiacenze – riguardano altre rubriche, dove sono in gioco gli interessi forti, i rapporti coi big boss di turno. La “nera” fa il suo lavoro che è quello di occuparsi dei fatti più atroci, come il suicidio di Simone, casi che lasciano sgomenti, incapaci di dare una minima spiegazione, di rispondere al bisogno liberatorio di trovare una colpa. In questi casi la via di fuga più semplice è quella di prendersela coi giornali
(Camillo Arcuri)