Categoria: La Repubblica

  • OLI 403: SOCIETA’ – Ceronetti, il sesso e la vecchiaia

    “Asessuate? Hai capito? E’ una palla formidabile, scoperesti tutti i giorni, e chi ce l’ha detto a noi? Che nostra nonna aveva voglia di scopare?”
    Nel gruppo ‘Generazioni di donne’ (*) del sesso in vecchiaia abbiamo iniziato a discutere da tempo, ed ora ecco un articolo di Ceronetti che si presenta come un invito a nozze, perché Ceronetti solleva un problema verissimo, ma lo declina, senza l’ombra di un dubbio, interamente al maschile.
    L’articolo, comparso su La Repubblica di martedì 1 aprile sotto il titolo di ‘Mettiamo fine alla barbarie della vecchiaia senza sesso’, si apre con una citazione da Sofocle che nell’Edipo a Colono sintetizza perfettamente la cultura del suo tempo facendo dire al suo eroe che “la più grande sciagura per un uomo è una lunga vita”.
    Affermazione rivoluzionaria oggi, tempi in cui invecchiamenti interminabili si accompagnano a infiniti escamotage tecnici, estetici, sociali per negare l’esistenza della vecchiaia.
    Ora però, dice Ceronetti, questi vecchi che sempre più popolano le nostre città, e che “La geriatria contemporanea non abbandona neppure al di là dei cento”, sono le vittime di una barbarie medica, politica e sociale, che li esclude dal sesso, o dall’amore a sfondo sessuale, “a partire da un’età prossima alla settantina”.
    Che fare? Ceronetti prende atto che è stata data qualche risposta alla solitudine sessuale dei disabili e dei carcerati, ma si chiede con inquietudine: “per i vecchi maschi, eterosessuali, coniugati o soli, si muoverà mai qualcuno?”

    Domanda interessante e legittima, ma zoppa senza la sua gemella speculare: “per le vecchie femmine, eterosessuali, coniugate o sole, si muoverà mai qualcuno?”.
    Tale asimmetria non può che condurre a soluzioni sociali e politiche sghembe, come le ipotesi evocate dallo scrittore che, mentre allontana da sé il ricorso alla prostituzione “perché degrada l’uomo molto più della donna”, vagheggia una rinascita in forma moderna delle ierodule, le schiave sacre “che compivano un servizio presso tutti gli antichi templi d’Occidente come d’Oriente”, affidando la sua speranza al “riemergere secondo una socializzazione d’anno Duemila di quella sacralità femminile del corpo offerto liturgicamente per amore delle Divinità, che certissimamente non è mai morta”.
    Ma le vecchie donne di oggi non hanno nella loro storia né ‘ieroduli’ da rievocare in forma moderna, né – più prosaicamente – prostituti.
    E allora? Un’amica dice che non si può saltare questo passaggio, perché altrimenti l’uguaglianza tra i sessi non potrà davvero compiersi. Quindi bisognerà avere fantasia, essere capaci di ‘inventare’, perché finché persiste la prostituzione femminile come dato sociale unilaterale, tutto il resto non basta per parificare la situazione, né a livello concreto, né a livello simbolico. Si potrebbero immaginare dei luoghi dove è garantito che lì sesso è giusto, è corretto, che vi si può accedere senza umiliare gli uomini, come invece sono state umiliate le donne?
    Luoghi che rappresentino pubblicamente la libertà delle donne di praticare il sesso potrebbero essere una tappa nel viaggio verso l’uguaglianza.
    (*) Per notizie sul gruppo ‘Generazioni di donne: www.generazioni-di-donne.it 
    (Paola Pierantoni – Fotografie dell’autrice)

  • OLI 389- TEATROGIORNALE: Petizione: Affinché il fenomeno migrazioni sia più umano

    Per una volta non voglio scrivere un racconto ma voglio riportare il testo di una petizione on-line che gira sulla rete. L’appello lo potete firmare al seguente indirizzo: http://www.change.org/it/petizioni/affinché-il-fenomeno-migrazioni-sia-più-umano

     “Questo è un’appello al Governo Italiano e alla comunità internazionale tutta.
    Difronte all’ininterrotto genocidio a cui assistiamo inermi in cui uomini, donne e bambini muoiono atrocemente scappando da guerre e carestie, la comunità internazionale non può restare a guardare ma deve agire.
    Questa gente, che contiamo ormai a milioni, esseri umani come noi, bambini che potrebbero essere i nostri figli, donne che potrebbero essere le nostre mogli o madri, intraprende viaggi perigliosi e assurdi come attraversare il deserto a piedi o imbarcarsi su navigli fatiscenti, privi d’acqua o strumenti di navigazione adeguati. Come possiamo rimanere indifferenti a tutto questo?

    Ma, dirà qualcuno, non si possono aprire le nostre ambasciate a tutti coloro che desiderano entrare nella nostra Italia già nel loro paese d’origine. Queste sarebbero prese d’assalto e il nostro territorio nazionale invaso da siriani, afgani, somali, eritrei e tutti quei popoli della terra ingiustamente martoriati dalla povertà, dalla guerra o dalla violenza. Il concetto stesso di Stato e di cittadinanza perderebbe senso, tradiremmo i valori Risorgimentali di patria per cui tanti Italiani sono morti.

    Viviamo quindi in una angosciosa contraddizione: da una parte non possiamo continuare ad assistere inerti alla morte di cotonati uomini, nostri simili che spirano in maniera così atroce, e dall’altra non possiamo accoglierli tutti in cristiano abbraccio.
    Mi chiedo come può una madre vedere morire i propri figli di sete in mezzo al deserto: quanta tragedia è racchiusa in quei piccoli cadaveri riparati all’ombra di un cespuglio, come se questo potesse evitarne la morte. Senza parlare delle nefandezze di cui si macchiano gli Italiani venendo a contatto con realtà così dolorose: campi di detenzione dove i richiedenti asilo (un diritto, non dimentichiamo) giacciono in condizioni disumane, oltre i limiti della legalità; uomini delle Forze dell’Ordine che, esasperati, commettono ingiustizie come il furto (non ancora accertato) a danno di alcuni esponenti della borghesia siriana scappati dalla guerra; i nostri marinai che si macchiano del terribile crimine del non soccorrere i naufraghi a causa dell’incertezza legislativa.

    Gli stati occidentali, che hanno traghettato il mondo intero fuori dalle barbarie, devono mettere da parte ogni sentimentalismo ed avere il coraggio di guardare in faccia la realtà e indicare la strada da seguire. Chiedo quindi a gran voce di organizzare uno studio serio e documentato di quali siano le reali possibilità di sopravvivenza per ogni viaggio della speranza. Queste statistiche dovranno tenere conto dello stato di provenienza e della situazione economica e culturale del richiedente asilo: sarebbe infatti infantile credere che una contadina nigeriana analfabeta abbia le stesse possibilità di sopravvivenza di un medico iracheno.

    Successivamente dovremmo fare una attenta riflessione sulla quantità di sofferenza che questi viaggi della speranza comportano: se non possiamo evitare le guerre e le carestie dobbiamo almeno cercare di alleviare il dolore che queste genti patiscono. E’ un nostro dovere difronte a tanta disperazione. Quindi chiedo che, alla luce delle ricerche fatte, siano istituite delle camere a gas per motivi umanitari in tutte le nostre ambasciate e che venga concessa la possibilità ai richiedenti asilo di poter scegliere di tentare la fortuna in maniera più consona ad un esponente della razza umana.

    Il richiedente asilo presenterà una domanda completa di ogni informazione per poi entrare in una stanza d’attesa  e lì le statistiche decideranno se verrà accompagnato a una dolce morte o partirà con un biglietto aereo, già fornito di ogni documento, per il paese che più desidera.

    Questo soluzione umanitaria non costerebbe quasi nulla agli stati ospitanti in quanto i beni dei migranti che purtroppo non avevano le caratteristiche necessarie servirebbero a dare la copertura finanziaria necessaria, quest’ultimo fatto avrebbe anche la grande rilevanza di sottrarre ingenti quantità di denaro alla criminalità organizzata.

    Tengo a sottolineare l’importanza del metodo con cui questa prassi deve essere attuata, bisogna avvalersi di ricercatori di indubbia fama e funzionari che non cedano al facile buonismo o alla concussione.

    Questa è una seria proposta che ha come unico fine l’alleviamento della sofferenza e il donare nuova dignità all’essere umano nella sua interezza.”

    Da la stampa.it: Niger: strage migranti, trovati 87 corpi

    LaRepubblica.it: “Noi derubati sulla nave militare”, il giallo del furto ai profughi siriani

    (Arianna Musso- foto da internert)

  • OLI 387: TEATROGIORNALE- La raccomandazione

    In cucina, attorno a un tavolo. 

    -Allora, sei contento?
    A parlare è lo Zio Carlo, un uomo sulla sessantina dallo sguardo franco e sorridente.
    -Ti devo ringraziare zio ma…
    Giovanni è un ragazzo sui ventisette anni, indossa una maglietta di yoda che fa il dj con gli occhiali da sole. Sta torturando la tazzina del caffè e non riesce a fermare il piede destro né a guardar lo zio negli occhi.
    -Ma cosa? Ho sentito il mio cliente, ti assumono. Da domani andrai a lavorare al Quirinale. Niente di che: starai in portineria, pulirai le scale non ho ben capito ma un bel contrattino di un paio di mesi, per iniziare, così vedi come va.
    Lo zio dà un ultimo sorso al caffè, lascia cadere pesantemente la tazzina sul piattino e il rumore della porcellana fa trasalire il ragazzo.
    -Zio grazie, davvero ma… ecco…. ne ho parlato anche con papà e, non so come dirtelo, ho un po’ di paura.
    -Paura e perché?

    Il ragazzo si alza e si ripara dietro lo schienale della sedia, guarda lo zio negli occhi. 
    – Che mi ammazzino zio.
     Lo zio non sorride più. 
    -Vai al Quirinale mica in guerra, vai a pulire i cessi degli onorevoli mica a fare la guardia del corpo. 
    In sala qualcuno ha acceso la televisione.
     -Si, è che… magari mentre vado al lavoro qualcuno decide, che ne so, di sparare a Letta. 
    -E perché povero Letta? 
    -O ad Alfano? 
    -E che ha fatto di male? 
    -O magari qualcuno si dà fuoco nel piazzale dove posteggio la moto. 
    – Dici che c’è questo pericolo? 
    Lo zio riprende a sorridere. 
    -Zio, è pieno di gente che non ne può più, che appena vede un’auto blu inizia ad andargli addosso… 
    – Mi sembra che stai esagerando, Giovanni. 
    -Zio ma non ti ricordi di quella tipa che faceva la precaria in un comune del nord? Un disperato è andato e le ha sparato.
     -Va beh, è stato un caso. 
    -E di quell’altro che ha sparato ai carabinieri di guardia al Quirinale il giorno dell’Insediamento del governo? 
    -Ma tu stai dentro, nei gabinetti. 
    -Si, ma se uno arriva con una macchina piena di tritolo e si caccia nel portone a tutta velocità? 
    Ora Giovanni è in piedi davanti allo zio e lo guarda negli occhi. 
    -Zio, io non ci vado a lavorare al Quirinale. Piuttosto mi imbarco e vado a pulire i cessi in una nave petroliera.
     Lo zio adesso è confuso, non sa se ridere o arrabbiarsi. 
    -Non voglio fare la fine del numero sui giornali: “Nell’attentato di oggi quaranta morti e nessun onorevole”. Ti ringrazio ma preferisco fare dell’altro. 
    Lo zio tenta un ultimo sorriso prendendo il nipote per il braccio. 
    -Cosa gli dico ora al mio cliente dai… è stato gentile. Che mio nipote ha paura degli attentati? Dai… mica siamo in Algeria, siamo in Italia. Siamo il primo mondo, siamo un paese civile, siamo in una democrazia, siamo… 
    Dalla sala provengono spari e urla.
    [Questo racconto è una finzione liberamente ispirato a un fatto di cronaca così come è stato presentato dai mezzi di informazione e filtrato dalla fantasia dell’autrice.]
    (Arianna Musso – Foto da internet)
  • OLI 386: TEATROGIORNALE- Dialogo di A e B in spiaggia

    [Questo racconto è una finzione letteraria liberamente ispirato a un fatto di cronaca così come è stato presentato dai mezzi di informazione e filtrato dalla fantasia dell’autrice.]

    [A sta mangiando dei semi tostati e sputa le pellicine o i pezzi troppo duri nella sabbia. B sta pescando, oltre la canna ha un secchio e una borsa di vimini. Il palcoscenico è vuoto, il fondale è un tramonto tropicale da cartolina un po’ spiegazzato.]
     A -Sono degli scarafaggi.
     B -No, scarafaggi no, non è vero, sei ingiusto.
     A -Formiche?
     B -Neanche, le formiche sono laboriose, questi invece sono tutto tranne che laboriosi.
     A -Cavallette?
     B -Meglio.
     A -Insomma è tutta colpa di Nasheed.
     B -Indubbiamente. [B tira su la canna da pesca, vi è attaccato un pesce di plastica, lo guarda soddisfatto e continua a pescare.]
     A -L’altro giorno ne ho visto uno in moschea.
     B -Puzzano.
     A -E si aggirano da una parte all’altra, mi fanno un’impressione. E tutti a scacciarli: “Via, via, dovete stare più in là”. Ma loro nulla, sgattaiolano da ogni parte: ne blocchi uno e ne ai già tre, lì ad infastidire la gente che prega.
     B -Hai provato col Baygon?
     A -Non basterebbe, credi a me.
     B -Il cianuro?
     A -Si, delle bottigliette di birra riempite di cianuro all’entrata della moschea.
     B -Non mi sembra una grande idea.
     A -E’ che alla fine si stava meglio prima, quando erano confinati. Per il loro allevamento non ci guadagnavamo tanto, noi cittadini, ma almeno evitavamo di averceli intorno.
     B – Io l’avevo detto.
     A – Sì, ma pensavo che avremmo allevato anche noi quelli di razza, non questi che ci invadono le case, le strade, non puoi neanche più pregare in pace.
     B -Insomma è tutta colpa di ?
     A – Nasheed.
     B – Bravo. [B tira fuori un panino dal cestino di vimini che divide in due, lo offre ad A e iniziano a mangiare, in lontananza si sente una musica hawaiana.]
     A -E poi mi fanno impressione.
     B -L’hai già detto.
     A -Lo so ma è che non riesco proprio ad abituarmi, sembrano come noi, ma non lo sono, sono sempre lì che vogliono comprare qualcosa, l’altro giorno perfino la stuoia di casa si volevano comprare.
     B -E tu gliel’hai venduta?
     A -No!
     B -Bravo
     A -La stuoia di casa mia è mia, se loro vogliono una stuoia che vadano dalla vecchia Salma a farsene fare una. Che la paghino a lei, mica a me che poi devo andare a farmela rifare.
     B -Giusto.
     A -Come fanno a non capire che gli viene un colpo di sole a stare tutti nudi sulla spiaggia a mezzogiorno.
     B -Forse hai detto bene, sembrano come noi.
     A – Ieri una di loro gironzolava attorno a mia moglie: “Ma non le da fastidio andare in giro così coperta? Ma perché permette a suo marito di farla coprire così?” E mia moglie che agitava la mano: “Sciò, sciò.”
     B – E tuo figlio invece la aspettava fuori.
     A -Ecco, anche questo non va bene: gli danno due soldi e questi ragazzi pensano che sia più facile scarrozzare in giro questi… cosa abbiamo detto che erano?
     B -Cavallette
     A -Si, cavallette invece che andare a pescare o fabbricare le reti.
     B – Insomma è tutta colpa di ?
     A – No, non solo di Nasheed, anche mia che l’ho votato. Meglio allevamenti di turisti di razza, confinati in isolette disabitate, ora ne sono convinto anche io. E che se ne vada in malora Nasheed e tutte le cavallette del mondo!
     [Il pesce inizia a tirare la canna, B la tiene ma il pesce sembra molto grande, anche A lo aiuta. La musichetta hawaiana diviene remixata, si trasforma in un huz huz da discoteca, da dietro le quinte escono sei quod in fila. Gente varia in camicie hawaiane e costume, le donne in bikini luccicanti. Tutti urlano, qualcuno guida in piedi. Due di questi lanciano bottiglie di Jack Daniel sul palco. A e B lasciano la canna che cade giù dal palco, i quod girano attorno ai due che si stringono impauriti. La musica diventa assordante, le luci strobo. Buio. In lontananza si sente il canto dell’Imam.]

    repubblica.it: maldive-il-voto-sulla-rivoluzione-dei-backpaker/228332
    (Arianna Musso – Foto da internet)

  • OLI 379: TEATROGIORNALE – Accerchiamento

    Da repubblica.it: Disoccupazione giovanile, Mario Draghi: “Minaccia per la stabilità sociale”

    Autobus numero 20, città di Genova, 24 maggio 2013, ore 13.30.
    Due signori coi baffi, la camicia e il cappello. Corpulenti e non più giovanissimi sono seduti in fondo, sopra la ruota di sinistra guardando il guidatore. Uno dei due signori si protegge col palmo della mano destra il braccio mentre una borsa lo aggredisce. Si gira verso l’altro signore, si riconoscono e si sorridono.
    A -Classe 36
    B -Classe 41
    A -Un ragazzo!
    B -Ma mio fratello è del 36. Io sono il più giovane.
    L’autobus si ferma, dei ragazzi entrano ridendo: ridono perché c’è puzza di pollo, ridono perché c’è caldo mentre stamattina c’era freddo, ridono perché non riescono a timbrare il biglietto.
    A -Siamo accerchiati
    B- Aumentano sempre di più
    A- Se dovessero uscire tutti assieme, se dovessero organizzarsi e andare tutti per strada, in una stessa piazza, ci annienterebbero.
    B – Per fortuna che non si riproducono.
    A- Crede? A me sembra che si stiano riproducendo, vedo carrozzine ovunque, donne con la pancia che pretendono il mio posto sull’autobus.
    B -E che poi non c’è lavoro e quindi vanno a rubare
    A-O a drogarsi.
    B -E gli aperitivi? Se vede queste ragazzi, bevono e mangiano schifezze.
    A-E poi si vanno a drogare.
    B-Tra un po’ non si potrà più girare per la strada. 
    A-Certo, vorranno le nostre pensioni, le nostre case.
    B-Io ho sempre lavorato, mentre questi non lavorano e vorranno anche una pensione?
    A-O una casa?
    B-Come possono fare figli senza una casa?
    A- Senza un lavoro?
    B- Infatti secondo me, ché ché ne dica lei, non si riproducono… poi muoiono per le droghe, gli incidenti stradali e queste nuove malattie. Moriranno prima di noi.
    Due ragazzine poco più che tredicenni salgono sull’autobus. Una ha la pelle olivastra e parla velocemente, è un po’ gonfia come succede a molte neo adolescenti, ha i capelli neri e spessi tirati in una coda, una gonna jeans grossa e lunga fino a sotto il ginocchio, ha una giacca chiara di maglina e sotto una maglietta viola. La compagna è magra e vestita di chiaro, il suo inizio di adolescenza è accompagnato da una leggera peluria sopra il labbro. Parlano fitte fitte di qualche professore che si è arrabbiato per via di un’uscita al bagno. Non sono belle, sono in quell’età di mezzo in cui sono brutte sia come bambine sia come ragazze. E forse per questo ambigue. I due vecchi le guardano, intravedono quei seni acerbi, quei gesti a volte disordinati altre civettuoli.
    B- A dire la verità lo spero.
    A- Cosa?
    B- Che muoiano.
    Una delle due ragazze ridendo cade pesantemente addosso al vecchio più vicino. Subito si rialza preoccupata.
    B – Ma no, la prego, si sieda signorina, io tanto scendo tra due fermate.
    Le adolescenti rifiutano una volta, alla seconda prendono il posto del vecchio, una seduta sull’altra. Il vecchio sorridendo le guarda, gli occhi appesi a quelle scollature da educande. Le ragazze continuano a ridere di non si capisce bene di cosa, forse di niente, forse del volto del vecchio in piedi che ha distolto l’attenzione dalle loro magliette per guardare il soffitto dell’autobus, la bocca stravolta e un braccio sul cuore.
    Il vecchio è rigido e alla prima curva cade sbattendo la testa.
    (Arianna Musso – Foto da internet)

  • OLI 378: TEATROGIORNALE – L’assassino del piccone

    repubblica.it: longo(pdl) l’assassino col piccone gli avrei sparato con la mia pistola

    Il processo deve ancora iniziare e gli ultimi spettatori entrano in aula con grossi barattoli di pop corn, facendo alzare le persone già sedute, rovesciando le bibite gasate.
    -Scusi, un attimo, Maria come stai? E signora, che vuole, devo passare. Non vede che la mia amica mi aspetta! Mi hai tenuto il posto? No? Mi pareva! E adesso?
    Nella sala, un anfiteatro moderno con le tribune a gradoni e le luci al neon, suona una sirena, entrano quattro poliziotti, tre avvocati e l’accusato. Il pubblico si agita, una donna grida, qualcuno fischia. Un neon sopra i palchi lampeggia: SILENZIO.
    Al suono di un gong il primo avvocato sale sul palco, guarda il pubblico, sorride leggermente.
    – Io ho una pistola, una Ruger Lcr fabbricata in America.
    Pausa, lentamente estrae una pistola e la mostra al pubblico.
    – Perché ho una pistola? Con chi credete di parlare? Se io mi fossi trovato quella mattina, in quella strada, io non mi sarei fatto uccidere, io non mi sarei andato a nascondere da qualche parte. Io avrei preso la mira.
    L’avvocato punta la pistola sull’accusato.
    – Bastava sparare alle gambe per farlo smettere. Scende giù dal palco e gli si avvicina.
    – Se non si fosse fermato, avrei sparato di nuovo alle gambe e poi
    Ora l’avvocato è vicinissimo all’accusato, la canna della pistola gli sfiora le labbra.
    – Gli avrei sparato addosso.
    Con una mossa repentina l’avvocato prende l’uomo per i capelli, lo caccia a terra e gli infila la pistola in bocca.
    – Dente per dente, occhio per occhio. Tu hai ammazzato tre dei nostri e noi oggi ammazziamo te.
    Il pubblico esplode, c’è chi vuole che l’esecuzione si compia lì, davanti a loro e per mano dell’avvocato, c’è chi urla vergogna e incita i poliziotti a intervenire per fermarlo.
    La luce al neon sopra i palchi lampeggia: SILENZIO.
    L’avvocato lascia la testa dell’accusato, sfila la pistola lucida e riprende.
    – Noi, che non siamo vittime, ci armeremo e vi verremo a stanare nelle vostre tane per bonificare le nostre terre. Ma chi proteggerà le nostre madri, le nostre figlie, le nostre mogli? Dobbiamo chiedere giustizia dopo aver pianto sui loro cadaveri? Io dico di no. Io dico che dobbiamo dare una punizione esemplare, un avvertimento che valga per tutti loro.
     Una parte del pubblico si alza in piedi e applaude. Il secondo avvocato sale sul palco, è un uomo pelato, con una bocca troppo grande e balbetta un po’.
    – Ma di cosa stiamo parlando? Certo che fa paura l’idea che uno cammina per la strada così e poi zac! ma anche andare in giro armati è pericoloso, che poi ci si spara a un piede. Io dico, lasciamo perdere, mettiamo questo qui in prigione che poi non è mai bello finirci, e speriamo che non succeda più. Ho finito.
    L’avvocato come si è alzato torna a sedersi. Nessuno applaude, qualcuno dice qualcosa ma non si capisce.
    Il terzo avvocato va verso l’accusato e l’aiuta ad alzarsi.
    – Questo è un uomo. E quest’uomo è colpevole di omicidio. Una società sana deve pensare a tutti i suoi figli, anche a quelli malati, anche a quelli violenti e permettergli di vivere senza nuocere agli altri. E la nostra società ha sottovalutato dei segnali che potevano aiutare quest’uomo a non macchiarsi di questo crimine? O prevenire in qualche modo l’evento così da non dovere piangere le sue vittime? Quest’uomo è colpevole ma io vi chiedo: in che tipo di società vogliamo vivere? In una società basata sulla vendetta oppure crediamo nel valore della vita umana, crediamo in quella forza che ha l’essere umano di modificare se stesso e di riabilitarsi? Crediamo nella Dichiarazione universale dei diritti umani, non perché, per caso, siamo in Europa ma perché crediamo nei valori di tolleranza e di uguaglianza che sono alla base della nostra cultura e della nostra società?
    L’avvocato rimane fermo davanti al pubblico. Qualcuno dagli spalti più alti inizia ad applaudire. Sirena di chiusura, tutti escono in fila.
    Musica. Entrano le ballerine in tanga e piume: pop corn e cannucce volano giù dalle gradinate.
    (Arianna Musso – Foto da internet)

  • OLI 377: TEATROGIORNALE – Femminizcidio, femminezidio, femminesidio?


    Da Repubblica.it: “La sfida di Josefa”

    -Apri le braccia. Il sorriso meno tirato. Chi è che ha fatto i capelli a Jos? Più indietro queste spalle.
    Il direttore della trasmissione passa tra le ragazze già posizionate per il balletto di apertura. Mancano pochi minuti, giusto un giro per sistemare qualche paillettes sul corpetto e, distrattamente, godere di quel morbido rigonfiamento. Un pantaloncino mal messo può rovinare la trasmissione e per questo il direttore deve alzare tutte le gonnelline.
    -Maria, Maria, meno male che il Papi controlla, altrimenti sai quante visualizzazioni su youtube?
    E così dicendo il direttore fa passare il dito dentro gli shorts della ragazza mora in terza fila, la stoffa si srotola aprendosi mentre il suo vecchio indice indugia nell’insenatura della giovane che resta immobile. Lui si alza e batte le mani, una stagista gli corre incontro e lui le indica Maria; la stagista prende nota sorridendo.
    Il fondale azzurro vira sul rosso e poi sul rosa: i tecnici luci stanno provando le sequenze della serata. Un grande cerchio compare sugli screen luminosi che costituiscono la scenografia, dal soffitto una dozzina di bracciali formato hula hoop ondeggiano.
    – Cosa sono quelli? Danilo, cosa sono quelli?
    Urla il direttore dalla terza quinta. Un ragazzo alto, magro, in pantaloni e camicia bianchi e quindi cangianti in base al colore delle luci, dal proscenio scivola indietro verso il direttore. Ariel in uno studio televisivo che vola dal suo Prospero.
    – I braccialetti, caro. I braccialetti della Cancellieri. Ho ideato una coreografia stupenda, le ragazze vengono benedette da queste aureole che scendono su loro. Loro alzano le braccia e accolgono la grazia. Debby da brava, fai vedere al Papi, anche così senza braccialetto.
    Una ragazza alta, castana, alza le braccia al soffitto e accenna a qualche passo di danza. A un cenno di Danilo la ragazza si ferma e rimane immobile per qualche secondo. Solo quando sarà sicura che il coreografo e il direttore non avranno più bisogno di lei, si rimetterà in posizione per il balletto di apertura.
    – Quindi sono le ragazze che ballano con i braccialetti? Ma che ho fatto io per aver un cretino del genere?
    Sbotta il direttore, urla così forte che i macchinisti si fermano per un istante.
    – Non sono le donne che mettono il braccialetto ma gli uomini, gli stalker! Ma che avevi capito? Non è che una viene violentata e poi le fanno mettere il braccialetto.
    Danilo diviene rosso, dalla testa ai piedi, poi blu. Le luci sui fondali continuano a cambiare mentre lui tenta di giustificarsi.
    – La scaletta, presto. Conclude il direttore, la stagista si avvicina. – Via questo balletto dei braccialetti. Sostituitelo con una panoramica sul pubblico, poi musica e arriva la mamma del ragazzo accusato di stupro di gruppo a quindici anni. Poi ci trasferiamo sulla telecamera due per lo spot della Telecom.
     Entra correndo una seconda stagista.
    -Direttore! La ragazza violentata dal fidanzato non vuole più comparire in trasmissione.
    -Le dica che ormai ha firmato e che ho delle foto fatte dal medico legale e se non segue il copione le pubblico su Facebook.
    – Ma direttore è illegale.
    – E tu vedi di non farti registrare. Che poi quelle foto neanche esistono ma lei non può saperlo è ancora in stato di shock.
    Le luci si abbassano e si alzano, una bella donna in abito rosso entra in scena. Ripete a se stessa:
    – Femminizidio.
    Il direttore le si avvicina.
    -Femminicidio, mia cara. Senza z.
    – Femminizcidio.  Femminezidio. Femminesidio.
    Le luci si accendono, il pubblico in sala è seduto e sorride, il direttore è scomparso nella terza quinta come la presentatrice.
    – Sigla
    Mormora il direttore al microfono. La bella donna in abito rosso entra, il pubblico applaude.
    Le ballerine iniziano a danzare. Maria cerca di non guardare la terza quinta.
    – Buonasera. Oggi siamo qui per dire basta al femminisidio!
    Applausi.
    – Vogliamo una task force contro il femminezidio!
    Maria alza gli occhi verso la terza quinta e sorride al direttore.

    The show must go on

    (Arianna Musso – Foto da internet)

  • OLI 375: TEATROGIORNALE – L’ispettore Derrick

    Da repubblica.it: Segreto dell’ispettore Derrick.”Da ragazzo soldato delle SS” San Teodoro, Sardegna. Ristorante Esagono.
    La zuppa alla “Mario” era sparita dai piatti assieme alla prima bottiglia di Vermentino.
    Una signora bionda sorrideva, il braccio destro era appoggiato alla sedia accanto alla sua. Teneva tra le dita un tovagliolo bianco. Di fronte a lei una coppia di settantenni corpulenti in camicia floreale, lei in camicia verde, lui rosa. Dopo due o tre sorrisi la signora bionda si alzò, un cameriere l’aiutò a spostare la sedia. In inglese disse qualcosa circa la toilette e, portandosi via il tovagliolo bianco, si diresse verso una porta nascosta da un separé.
    Entrò nel bagno degli uomini e si mise a bussare alla porta del gabinetto.
    -Host apri.
    Nessun rumore, la donna bionda si attaccò alla maniglia e la abbassò diverse volte.
    -Host, non abbiamo tutta la sera, apri. Pensa se entrasse qualcuno.
    Horst Tappert, per il mondo l’ispettore Derrick, era chiuso in bagno da una ventina di minuti. Continuava a sudare e aveva la gola secca. Fece girare la chiave. La moglie lo tirò fuori dal gabinetto e, sempre nascosta dal separé, lo tamponò di acqua di colonia.
    – Host smettila, sono italiani, cosa vuoi che ne sappiano della Germania. Ha fatto una battuta, umorismo italico, sono governati da un signore che fa le corna nelle foto di stato. Quindi ora la smetti e torni di là con Brenda e Johnny, che sono americani, non fanno battute politicamente scorrette e non riusciranno mai a mangiare delle aragoste alla catalana senza il nostro aiuto.
    L’ispettore Derrick era affannato ma cercava di stare il più dritto possibile. Non era la prima volta che gli accadeva d’avere una crisi di panico. Negli anni ottanta accadeva spesso, oggi era stata colpa del vino, della giornata al mare che gli aveva ustionato le dita dei piedi (la testa no, portava il cappello), di Brenda che non smetteva mai di parlare. E di quell’italiano, naturalmente, ma gli italiani sono così, sempre a scherzare, non bisogna prenderli sul serio. E’ dai tempi di Mussolini che gli italiani non bisogna prenderli sul serio.
    – Host, sei pronto? Possiamo tornare a tavola?
    L’ispettore Derrick fa segno di sì con la testa. In realtà continua a pensare alla faccia di quell’italiano: mi ha dato del nazista solo perché sono tedesco, non mi ha neanche riconosciuto, non sa che io sono l’Ispettore Derrick. L’ultima crisi di panico l’ho avuta un’anno fa, sono migliorato. Prima bastava un’allusione così, generica, al nazismo per farmi perdere il controllo, ora invece mi devono dare proprio del nazista per farmi andare in panico.
    Sono migliorato. La moglie lo porta per mano fino al tavolo, Brenda e Johnny avevano già attaccato le aragostine alla catalana facendone scempio e schizzando di sugo la tovaglia immacolata.
    -Host – disse la moglie in tedesco e stringendogli la mano – Sono sessant’anni che ti torturi, basta. Se non ti hanno scoperto fino ad ora…
    -Si, certo- Le sussurrò lui all’orecchio.
    Ormai aveva ripreso il controllo di sé, solo un leggero tremore alle mani denunziava il suo malessere appena passato. Con coltello e forchetta sezionò lentamente la sua prima aragostina, la ingioiellò di cipolla rossa e se la portò alla bocca su un piedistallo di pane carasau.
    -Italiani, non sapranno fare le guerre ma le aragoste le sanno cucinare.
    (Arianna Musso – foto da internet)

  • OLI 352: INFORMAZIONE – Una maiuscola di troppo

    Contano le parole, e conta anche come vengono scritte. Un articolo (La Repubblica del 15 ottobre 2012) parla di alcune novità investigative su un fatto di sangue avvenuto l’anno scorso a Sampierdarena, in cui furono uccisi una donna e suo figlio. Il titolo recita “Sampierdarena: una pista per il Massacro”. Obietto che l’utilizzo di questa maiuscola è del tutto ingiustificato, e sgradevolmente corrivo.
    Il buon giornalismo dovrebbe fare a meno di questi ingredienti.
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 347: POLITICA – Guerello bacia l’anello

    Bene ha fatto Marco Doria, neo sindaco di Genova, a non presenziare sabato scorso alla processione del Corpus Domini e, la domenica precedente, al pellegrinaggio del Mondo del Lavoro al Santuario della Guardia, riti cristiani cattolici.
    Meno bene ha fatto Giorgio Guerello, presidente del Consiglio comunale delegato a rappresentare l’intera Città, con tanto di fascia tricolore, a salutare l’arcivescovo baciandogli l’anello.
    Male hanno fatto alcuni sindacalisti e diversi operai di Finmeccanica, Fincantieri, Piaggio e Ilva partecipanti alla processione a rammaricarsi per l’assenza del sindaco alle due manifestazioni e a criticarlo, tirando addirittura in ballo l’“educazione istituzionale”.
    Si continua ad avvertire una grande confusione circa i diversi livelli e àmbiti, civili e religiosi, troppo spesso impropriamente mescolati. Sarebbe opportuno riflettere e giungere a una maggiore chiarezza, nell’interesse generale.
    Processioni e pellegrinaggi sono manifestazioni di fede, che tutti sono tenuti a rispettare, ma alle quali è giusto che partecipino senza esibizionismi solo coloro che condividono il sistema di valori e di verità della Chiesa romana, siano essi operai, figure pubbliche o altri, che in Italia, paese di millenaria presenza cattolica, sono la maggioranza – per convinzione o per consuetudine o per convenienza – ma non sono certo tutti. Sono molti infatti – da sempre e ora ancor di più, con l’arrivo di nuovi cittadini da altri parti del mondo – a credere altrimenti – aderendo ad altre confessioni religiose, o per agnosticismo o ateismo – convinti che quanto proposto dalla Chiesa non corrisponda al vero.
    Diverso è il discorso riguardante un evento come la processione il 24 giugno per san Giovanni, da secoli patrono della città, nella quale questioni di fede si fondono con istanze di identità civica e nella quale tutti possono riconoscersi indipendentemente dalle scelte religiose.
    Un civico amministratore, che in quanto tale rappresenta la totalità dei cittadini e dei loro differenti credi, non può nella sua veste pubblica fare ciò che sarebbe liberissimo di fare in privato, ossia con l’atto simbolico del bacio dell’anello riconoscere la superiore autorità del gerarca di una delle religioni professate sul territorio – sia pur radicata da tempo e numericamente preponderante – e ribadire di conseguenza la supremazia assoluta di tale religione, data per scontata quando non lo è affatto.
    Tale gesto, che non è passato inosservato, ricorda precedenti illustri: dall’ormai remoto genuflettersi a papa Pacelli del presidente della Repubblica Italiana Giovanni Gronchi nel 1955, al più recente duplice bacio del primo ministro Silvio Berlusconi all’anello piscatorio di papa Ratzinger nel 2008. Ne scaturirono dibattiti comprensibilmente accesi.
    Quanto all’attenzione che il cardinale manifesta per i gravi problemi che affliggono i lavoratori, ben venga! Però la concertazione tra Doria e Bagnasco per affrontare e tentare di risolvere le difficoltà della città non ha bisogno di plateali ostentazioni, ma si sviluppa in incontri privati già avvenuti e che verranno, come ha chiarito lo stesso sindaco nella replica alle critiche mossegli (vedi articolo di Raffaele Niri su la Repubblica, edizione di Genova, 11 giugno 2012, pag. IV).
     (Ferdinando Bonora, foto di Fabio Bussalino per la Repubblica, Genova)