Press-agent tifosi non giornalisti

Gli addetti stampa di enti e associazioni importanti, come lo sono ad esempio le squadre di calcio delle massime divisioni, rivendicano da tempo il riconoscimento della qualifica di giornalisti (professionisti se a tempo pieno o almeno pubblicisti).


In effetti il lavoro che svolgono li accomuna non poco, in certi casi fin quasi a coincidere, con l’attività giornalistica vera e propria; la sola, ma non lieve differenza, sta nel grado di autonomia di giudizio dell’operatore dell’informazione che si sente al servizio del pubblico e chi invece serve un interesse specifico. Intendiamoci: ci sono fior di press-agent che sanno coniugare più che onorevolmente il loro mandato privato con l’annessa funzione di carattere pubblico; come ci sono del resto giornalisti che hanno ormai dimenticato i principi della deontologia professionale.
L’esempio che segue, relativo a un inaudito episodio di violenza a carico di un disabile, tifoso laziale, ridotto col viso tumefatto e una costola rotta, dagli ultras della Samp a Marassi, costituisce un esempio da manuale di ciò che “non” deve fare un addetto stampa per rassomigliare seppur vagamente a un giornalista. “Questi fatti bisognerebbe spesso tacerli”, ha esordito il portavoce della Sampdoria, con un invito all’omertà molto eloquente sul suo modo di intendere la funzione della stampa. “Se il calcio ormai è diventato così non è colpa dei tifosi… Prendiamo Di Canio… Proprio lui, con i suoi atteggiamenti, domenica ha incitato i tifosi a un comportamento violento, è lui il colpevole”, ha cercato di confondere le carte. “Non prendiamocela sempre con chi sostiene una squadra, con chi, come noi a Roma negli anni passati -ha piagnucolato- è sempre stato oggetto di aggressioni…” Poi, bontà sua, ha ammesso: “Va bene, il pestaggio di questo ragazzo laziale è un fatto grave, non c’è dubbio, ma stiamo attenti -si è prontamente ripreso- a non criminalizzare tutti i tifosi …”
(Camillo Arcuri)