Giustizia / 2 – Toghe rotte e pur bisogna andar

“Toghe rotte. La giustizia raccontata da chi la fa” (a cura di Bruno Tinti, ed. Chiaralettere, 2007, euro 12,00) farà discutere. Una testimonianza dei mali che affliggono la giustizia, una denuncia fatta da magistrati che operano quotidianamente nei tribunali e nelle procure. Il curatore, procuratore aggiunto presso la Procura di Torino, parla di una politica e di un Parlamento “bipartisan”, che negli anni trascorsi (diventati ormai decade) si sono adoperati con successo perché la giustizia italiana non funzioni.


La prima parte, “La giustizia quotidiana”, è dedicata a una serie di storie esemplari viste dal di dentro: sfila un esercito di giudici, cancellieri, poliziotti, ufficiali giudiziari e avvocati che hanno a che fare con denunce, querele, rapporti, rinvii a giudizio, citazioni, decreti e archiviazioni che generano carte “per dibattimenti finti, sentenze finte, lavoro finto”. La giustizia è “un’azienda in cui entrano camion carichi di carta ed escono camion carichi di carta” (p. 13).
Nella seconda parte, “Che cosa c’è che non va”, nel breve capitolo “Corso accelerato di diritto e procedura penale”, si smonta il diabolico meccanismo che fa (non) funzionare l’amministrazione della giustizia. E’ una carrellata sulla pena, le indagini della Procura, i gradi di giudizio (Tribunale, Appello e Cassazione) a cui bisogna aggiungere l’udienza preliminare. Alla fine di un lungo lavoro nel quale viene esaminata documentazione che si accresce continuamente si arriva a un processo che si concluderà, con ogni probabilità, con la prescrizione: un traguardo facilmente raggiungibile per chi, inciampato nelle maglie della giustizia, dispone dei mezzi per permetterselo. Con un processo che dura un minimo di dieci anni il 95 percento dei processi per reati di si concluderà con la prescrizione. Si tratta di fatti di grande impatto sociale: infortunistica, ambiente, corruzione, reati economici anche a danno dello Stato (p. 114). Sono trenta pagine che dovrebbero essere lett e tutte, scritte – come dice Marco Travaglio nell’introduzione – “per i cittadini che vogliono capirci qualcosa”. Una lettura che serve a comprendere che non può esserci una vera riforma della giustizia senza prima ricostruire il meccanismo che dovrebbe assicurarne il suo funzionamento.
Nell’ultimo capitolo, “Il capitolo più difficile”, Bruno Tinti dice che non gli piacciono i “partiti” e le “correnti” in cui è divisa la Magistratura. E’ una giustizia schiacciata dalla politica, ma anche una “giustizia che si schiaccia da sola”. Secondo Tinti, tutti gli organismi elettivi, Consigli Giudiziari, CSM, ANM, avrebbero finito per perdere gran parte dei loro presupposti (assicurare l’indipendenza e l’autonomia della Magistratura) e si sarebbero trasformati in organismi utili solo alla autoriproduzione corporativa.
Nello Rossi, segretario di ANM, intervistato da Il Sole-24 Ore (7 ottobre 2007) a proposito del caso Mastella-De Magistris e più in generale sul caso Calabria, sembra rispondere a Bruno Tinti: “Purtroppo, usciamo da un periodo buio di forti pressioni sui processi e sull’ordinamento giudiziario. Questo ha favorito una sorta di union sacrée dei magistrati per la difesa di valori elementari, come la sopravvivenza di una giurisdizione indipendente, ma ha indebolito la capacità di guardare al nostro interno con il necessario spirito critico”.
(Oscar Itzcovich)