Numeri. Immigrati la metà dei morti sul lavoro

D’estate la cronaca mostra una certa propensione per i numeri. Forse perché mancano gli spunti in cronaca o forse perché i numeri permettono di guardare il mondo non usando solo il filtro dell’esperienza personale.


I numeri infatti servono a pensare e di numeri sui quotidiani genovesi, durante l’estate appena passata, ne sono comparsi parecchi ad esempio a proposito di immigrati. L’Ufficio statistico del comune di Genova ha informato che a Genova sono quasi il 5% della popolazione e che nelle scuole delle 9 circoscrizioni genovesi, studiano circa 5.600 bambini figli di immigrati, pari a circa il 10% del totale degli allievi; un valore che negli ultimi 4 anni si è triplicato ed è destinato a salire ancora.
A Genova c’è inoltre la percentuale più alta di studenti stranieri negli istituti professionali e in altre scuole superiori: il 6,10%. Nel complesso una realtà nuova, importante. In Liguria, dove i residenti sono circa 1 milione e 600 mila, e dove il tasso di natività è il più basso d’Italia (7,3 nati ogni 1000 abitanti rispetto a una media nazionale di 9,4) il saldo naturale – negativo per 11.400 unità – sarebbe ben più grave se non fosse per la presenza della popolazione immigrata.
A fronte di questi dati sta la miseria della conoscenza che la città ha del mondo immigrato. Disinteressata alle loro lingue, ai loro luoghi di abitazione, ai loro lavori, ai loro divertimenti, alle loro aspirazioni, la città è informata della vita produttiva del 5% dei suoi abitanti (giovani, che fanno figli, che lavorano, il 27% con la licenza media, il 28% con un diploma e l’8% con una laurea), solo attraverso la cronaca dei quotidiani locali. I quali di immigrati scrivono – con rabbia o con pena a seconda dei casi – solo se trasgrediscono o se crepano malamente. Il primo caso è in genere l’occasione di un’ondata xenofoba, il secondo – purtroppo molto più frequente del primo – di pelose commozioni. Eppure, dall’8 novembre 2003, quando la città ha saputo dell’esistenza dell’albanese Albert Kolgjegja solo perché era morto nel crollo del cantiere dove stava lavorando, i morti nei cantieri sono stati una dozzina: la metà immigrati.
(Manlio Calegari)