Infortuni – Parlare coi lavoratori per non arrivare tardi

140.000: questo, secondo i dati Inail, è il numero complessivo dei morti per lavoro in Italia dal dopoguerra ad oggi.
Giorno per giorno, all’anno, in 60 anni: tutti i diversi modi di presentare le cifre di questi morti restituiscono una realtà inaccettabile.
Nel convegno Cgil “Per un lavoro più sicuro” (5 giugno 2006) Claudio Calabresi dell’Inail dice che le morti sul lavoro sono “sempre più alla attenzione del paese”, ed anche dei mezzi di informazione, “non perché aumentano gli eventi, ma perché si sta abbassando la “soglia del dolore”, cresce la coscienza collettiva sulla loro inaccettabilità”


Infatti gli infortuni diminuiscono. Negli ultimi 40 anni gli assicurati all’Inail sono aumentati da dieci a diciannove milioni, gli infortuni denunciati ogni anno sono invece diminuiti da 1.500.000 a 950.000, gli infortuni mortali sono passati da circa 4000 all’anno agli attuali 1250.
Anche in Liguria l’incidenza infortunistica (infortuni ogni 1000 addetti) scende da 80,4 (1999) a 67,3 (2005)
Calabresi però avverte che “Gli andamenti ed i numeri derivano da fenomeni vari e complessi, alcuni nascosti e non del tutto noti: sottodenunce, lavoro sommerso, ecc…”
Aggiungerei: è cambiato – soprattutto – il lavoro. Il lavoro industriale ha lasciato ampiamente il campo al terziario, ai servizi. In questo panorama moderno popolato di computers, di lavoro immateriale, il danno fisico, la morte appaiono sempre più ingiustificabili, incongrui. E in effetti li lasciamo sempre più ai nuovi venuti, agli immigrati, che sembrano più adeguati ad interpretarli.
Di certo queste linee che scendono, queste statistiche che migliorano, lo fanno molto debolmente, mentre rimane nascosto tutto il continente delle malattie da lavoro: non vengono denunciate, non vengono riconosciute, vengono da lontano nel tempo, e quando si manifestano il loro rapporto col lavoro che le ha causate è diventato invisibile.
Eppure, se ci si spinge a parlare con i lavoratori, si vede che bene non stanno, solo che a parlare con i lavoratori ci si va sempre di meno. Lo dice Diego Alhaique, della Cgil nazionale: “Da venti anni li abbiamo abbandonati. Anche alla Thyssen siamo arrivati dopo”
Nel pomeriggio, al convegno, è previsto che la parola passi ai lavoratori medesimi, ai “rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza”. Per l’occasione i dirigenti sindacali che alla mattina erano presenti in platea se ne sono andati. Cuccu, storico RLS delle riparazioni navali interviene, si guarda intorno, e dice: “Mi ritrovo solo, dove è andata la Fiom? Parla del suo settore: 97 diverse aziende, 1466 lavoratori ufficiali, ma fino a 5000 realmente all’opera. Dice ancora: parliamo sempre di formazione e formazione, ma a chi la facciamo, la formazione, se nemmeno sappiamo chi ci lavora da noi? Noi della Fiom aggiunge, non dobbiamo solo parlare, ma “azionare sul campo”: quello che è in gioco è “la dignità del lavoratore nella sua salute, il suo poter tornare a casa…”
Intanto lo “sportello sicurezza” fornisce ogni anno a 1000 delegati, lavoratori, sindacalisti, informazioni di qualità, senza chiedere né tessere né appartenenze. Una forma di eroismo politico.
(Paola Pierantoni)