Boccadasse – Confronto pubblico sempre più difficile

– Ridateci i bus -, questo il coro che ad un certo punto risuona nell’Auditorium del Conservatorio Paganini, il giorno della presentazione del progetto dell’Autorimessa di Boccadasse, lunedì 2 marzo alla presenza del sindaco MartaVincenzi. Parole imbarazzanti anche per un architetto scafato come Botta, abituato a discutere da Baden a Shangai: vacilla un po’ l’archistar e si dice pronto a rivedere i suoi disegni, senza alterarne la cifra s’intende, ma disponibile alla discussione per migliorare il suo lavoro. L’Assemblea si scioglie; lampi della stampa, riprese, interviste, prima e dopo il dibattito. Ed è un peccato, si è persa un’occasione per discutere l’idea di città che la Sindaco vorrebbe con il suo Urban Lab, lei che sottolinea nell’introduzione come l’area dismessa sia un’ eredità, ma comunque un’opportunità per rivedere concezioni che altrove già si fanno strada: non più un’estensione dell’abitato con alti costi sociali, dalle reti fognarie alle strade, ai servizi. Un ritorno all’interno invece, un recupero del costruito, già attrezzato. Così come l’idea della “corte” aperta dello scapigliato Botta, per spiegare il verde dentro e non fuori dell’edificato, da percorrere in tutti i suoi spazi, attraversandolo per farne un centro vissuto, uno stare insieme.


Il comitato che tante firme ha raccolto è un po’ spiazzato, a denti stretti, partiva dall’idea che i volumi non fossero in discussione, ma l’impatto delle altezze, del verde, della sostenibilità, il tipo di costruzione fossero temi da dibattere. Con la presentazione però di più progetti ed invece se n’è visto presentare uno solo. Parte del pubblico contesta, non vorrebbe nulla, non accetta il nuovo, il moderno, al più edifici che ricordino lo stile ligure. Fa inorridire la proposta di porticati, come se in tante parti d’Italia i portici non siano sempre stati solo mero riparo dal freddo, ma pure luoghi d’aggregazione, d’incontro. Oggi non più. Suscitano paura, esprimono, a torto o a ragione, l’incertezza, il senso d’insicurezza che questo tempo, la politica, la crisi, i media hanno contribuito ad alimentare. Bar, ristoranti, negozi nella corte? Solo fastidio e rumore, forse non si riuscirà a sentire la tv con le finestre aperte. Gioventù che chiacchiera, vociare di ragazzi: non val la pena chiedere di abbassare la voce a drogati, perdigiorno, che occupano i parcheggi di chi abita il quartiere, si sente borbottare.
Ci s’infiamma per le altezze, il vero unico tema essenziale, la vivibilità, l’impatto del traffico, la sosta, si perde però il dialogo sull’architettura. Fra interventi confusi, viscerali, una voce dissonante rispetto ai ragionamenti di Botta, quella di uno studente: – Ma perché l’idea della corte, che altrove è sempre stata un luogo chiuso, perchè andare da una parte all’altra dell’abitato? E perchè soprattutto non si è fatto un concorso per portare nuove idee? Tutto sembra così imposto dall’alto…
Occasione persa per tutti. Per chi non ha apprezzato la buona volontà dell’Amministrazione, vincolata a rispettare l’acquisto di un privato di un’area pubblica e che vorrebbe proporre un progetto innovativo. Che propone un iter partecipato per venire incontro ai residenti; punto di partenza per un percorso di condivisione. E’ positivo e un ringraziamento alla Sindaco è doveroso. Peccato arrivarci con un solo progetto e l’archistar nel taschino!
(Bianca Vergati)