Carceri – Edilizia penitenziaria corsi e ricorsi

“Nell’Inghilterra del Settecento le prigioni scarseggiavano… Le autorità parlavano continuamente del bisogno di nuove prigioni, approvavano leggi, ma all’atto pratico non succedeva nulla. Gli inglesi quindi non ampliarono le loro prigioni, e nel 1776 trovarono un compromesso… Il Tamigi e i porti dell’Inghilterra meridionale erano pieni di vecchie navi in disarmo, ex vascelli di guerra o per il trasporto delle truppe, senza più alberi e attrezzatura e con il fasciame corroso, ma ancora in grado di stare a galla e quindi in teoria abitabili…


Ma… verso la fine del decennio 1780 – 1790 il numero dei carcerati già aumentava di 1000 all’anno, aggravando non solo il problema della sicurezza, ma anche quello del tifo, ormai endemico. Era chiaro che si doveva tornare alla deportazione, ma in quali terre? La scelta delle autorità cadde infine sull’Australia, il punto meno immaginabile della terra, solo una volta toccato da uomini bianchi…” (*)
Soluzione arcaica, quella delle navi carceri, sepolta dal suo fallimento già a fine ‘700… e invece ecco che rispunta nel “piano straordinario di edilizia penitenziaria” presentato al ministro Alfano dal direttore del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta.
Copiate le prigioni galleggianti, sarà molto difficile copiare la soluzione al loro fallimento: il mondo si è ristretto, e ormai non c’è a disposizione più nemmeno l’Australia per una bella deportazione. (*) Robert Hughes – La riva fatale (Adelphi)
(Paola Pierantoni)