San Giovanni – Le tradizioni pagane che dispiacciono alla curia

150Il 23 giugno passo da Piazza Matteotti alla ricerca della festa di San Giovanni ma, al posto della grande festa passionale che ricordavo, trovo una piazza distratta, una musica fuori contesto e un vicesindaco un po’ malinconico in attesa di accendere un fuocherello piccolo piccolo: a distanza sembrava che nemmeno lo avessero preparato, il falò.
Degli anni passati, quelli dal 2003 al 2007, non ricordavo solo il sontuoso rogo circondato da danze, con al centro colei che doveva essere bruciata, la sensuale e perfida Erodiade, ma tutto quello che aveva preceduto l’acme finale: visite guidate nei luoghi a vario titolo legati a San Giovanni, installazioni, attori e artisti di strada per letture, proiezioni cinematografiche, animazioni e brevi azioni sceniche a ripetizione, l’intreccio col Festival della poesia e la caccia al tesoro: chi la vinceva avrebbe acceso il rogo finale.


Prima del falò un lungo corteo per i vicoli portava al rogo il fantoccio di Erodiade.
Quello che passava con forza nelle emozioni di chi partecipava era l’intreccio tra religiosità cristiana ed elementi pagani: la celebrazione della nascita di Giovanni fatta coincidere con i rituali del solstizio d’estate, senza dimenticare, diceva una brossure dell’epoca, la venerazione di cui lo stesso Giovanni è oggetto nell’Islam.
Nella intenzione degli organizzatori di allora la festa voleva essere una “rivisitazione della principale festa genovese come fatto unificante della comunità cittadina – con il coinvolgimento di numerose realtà italiane e straniere – nella prospettiva di future edizioni sempre più articolate e sentite”.
Ora col passaggio di mano del Municipio Centro Est, il fuoco di San Giovanni si sta malinconicamente spegnendo.
Si dirà: la crisi, la diminuzione di fondi…
No. Quello che è cambiato non è la grandiosità della festa, ma il suo spirito: il sottofondo pagano che animava le precedenti edizioni è diventato indigesto: non si vuole – ci dicono – dispiacere alla Curia. Meglio, molto meglio che sui quotidiani la processione del 24 giugno non perda posizioni a favore di un evento dal sapore profano. Cosa puntualmente avvenuta.
Il tentativo di ristabilire un contatto tra la città e le tradizioni che la animavano nei secoli passati, avrebbe avuto necessità di consolidarsi, invece è stato interrotto, sottraendoci gioia e cultura.
Leggiamo in una presentazione del 2003 la descrizione dell’annalista Bartolomeo Scriba, anno 1227: “I fanciulli tutti empievano di lieti canti la città, e dove anche le vecchie ballavano e si reggevano sopra un sol piede, e in cui gli uomini maturi si diportavano alla guisa dei giovani e le fanciulle si mostravano audaci nelle danze, mentre i suonatori non avevano tregua e i cavalieri correvano in ogni direzione”.
La Chiesa considerò a lungo questi fuochi mere sopravvivenze del paganesimo. Visto però l’insuccesso delle reiterate condanne promulgate dai concilî e dai sinodi, la gerarchia ecclesiastica ricorse alla sperimentata tecnica dell’‘accomodamento’, in modo da rendere i falò simbolicamente ortodossi.
Ora, in assenza di una vitalità popolare, basta abbassare la fiamma.
Ferdinando Bonora, animatore delle feste perdute, commenta: quanta desolata e incazzata tristezza…
(Foto di Pier Luigi Pinto)
(Paola Pierantoni)