Migranti – Interazioni

Interazione è parola densa. E’ parola giusta. Rappresenta soggetti che interagiscono, soggetti che stanno sullo stesso piano o almeno che aspirano allo stesso piano. Che si pongono sullo stesso piano di uguaglianza fondativa, che abitano lo stesso spazio–mondo e si muovono nel comune spazio-tempo, pur a partire da luoghi distanti e da collocazioni nei fili della storia, differenti per spessore, colore, nodi, tragitti.


E’ parola diversa da integrazione che disegna sempre un dislivello fra chi integra e chi è integrato e da tolleranza che comunque mette chi tollera al riparo di un sistema di valori, di diritti e di doveri, di sistemi normativi e regolatori per definizione giusti e per presunzione intangibili.
Certo il buon senso e il linguaggio comune ci dicono che è meglio integrare che disgregare e che tollerare è esercizio e presupposto di buona disposizione verso l’altro diverso e che quando si sente ripetere, ormai troppo spesso, tolleranza zero si percepisce che l’intolleranza è a mille. Integrazione e tolleranza sono il male minore o il minimo livello del bene, una soglia instabile pronta a regredire e a precipitare verso l’umiliazione e la violenza che colpisce i deboli, i bisognosi, i richiedenti, gli affamati, gli emigranti. Ma allo stesso tempo degrada chi li esercita non perché ha “la forza della ragione, ma perché ha la ragione della forza”. O la forza e basta.
Il primo marzo, in cui possiamo sentire echeggiare il primo maggio, se abbiamo orecchie libere dal rumore che coarta la nostra vita, è stato un momento forte di interazione fra le comunità dei migranti e i cittadini italiani sensibili alla universalità dei diritti e alla pienezza della democrazia.
E’ stata giornata di incontri e di relazioni sociali, di condivisione e di sostegno reciproco; di aperture e di negoziazione a partire dall’affermazione del diritto allo sciopero, che anche solo sul piano simbolico da’ visibilità e concretezza al valore e all’insostituibilità del lavoro dei migranti. Senza di noi – ormai non potete essere quel che siete diventati, dovete rispettare tutti i nostri diritti, l’interezza delle nostre persone, non solo le nostre braccia.
E possiamo camminare insieme e sorriderci serenamente, senza il ghigno dell’arroganza.
Il cammino era cominciato con le rivolte di Rosarno e di Milano, in cui soggettività mutilate, umiliate e offese avevano rialzato la testa, si erano ritrovate per far sentire la forza delle loro ragioni.
Appendice I. (Interazioni)
Un giovane filosofo, brillante e sensibile, torna sul treno nel suo Sud. Lo scompartimento è pieno. Ha voglia di riposare e magari di riflettere in solitudine. Fra i presenti un quarantenne di grigio vestito e di parola stentorea. Una figura a metà fra un degradato furbetto del quartierino non più ricco e un aspirante portaborse in cerca di collocazione. Un fastidioso megafono che snocciola con noncuranza verso le altrui orecchie tutti i mali causati dall’invasione degli stranieri nella nostra amata e divorata Italia. E pretende risposte dagli altri passeggeri, scruta gli occhi, cerca consenso. Il nostro filosofo cerca come può di difendersi. Pensa al suo amico Abdo, rom macedone con cucina. Niente menù, si prepara quel che detta la fantasia, si mangia insieme, prezzo modico e fisso.
Ma l’assedio è inevitabile; la domanda arriva; “e lei cosa ne pensa?”.
“Io no parlare bene italiano” rispondi con i toni giusti. Gelo, megafono strozzato. Silenzio.
Appendice II (Interazioni)
Alle 23 e 50 del 4 marzo ricevo questo messaggio da un amico fraterno:
“Una fredda notte a Isola del Cantone, il giorno dopo la Befana, a un gruppo di ragazzi marocchini di Trento, mai visti, senza benzina e senza soldi, diedi venti euro. Stasera al casello di Isola mi aspettava una busta portata dal postino con dentro venti euro e un biglietto con scritto “grazie e buona fortuna”. Mi sento come se avessi vinto al Totocalcio o come se mi fossi fatto un bel cannone”. Il mio amico lavora nelle Autostrade ed è un grande contadino.
(Angelo Guarnieri)