Città – Tra dire e fare vince il cemento

Da undici anni ad Arenzano alla fine del mese di aprile si tiene una bella manifestazione: Florarte – L’arte interpretata con i fiori. Lo scenario è quello, magnifico, anche se un po’ malandato, del parco Negrotto-Cambiaso, dove ha sede il Palazzo comunale e dove ha nido una splendida colonia di pavoni monumentali. Ma se i titolari del palazzo comunale aspirano all’armonia e alla bellezza e più spesso le millantano e si pavoneggiano, i pavoni splendidi lo sono per natura.


La sede della manifestazione è la serra monumentale costruita nel 1930 e inaugurata dal re e dalla regina, ospiti del castello. In puro stile liberty, ben restaurata, mostra una perfetta sinergia fra materia, artigianato e arte e si lega con eleganza all’ambiente circostante ricco di alberi, colore e storia.
Insomma un ambiente ideale per una manifestazione culturale e artistica che mette a confronto affascinanti e fantasiose costruzioni di fiori e natura e la creatività infinita della persona umana. Ogni anno viene celebrato un artista, che fa da capofila a tanti altri pittori e scultori che danno anima alla coralità dell’evento. Quest’anno l’artista celebrata era Cecilia Ravera Oneto con i suoi colori forti e sfumati, come quelli di un giardino e con il suo pregnante radicamento narrativo nella storia industriale e operaia di Genova. Nel contesto di Florarte gli organizzatori hanno voluto organizzare un convegno avente per tema: Un mare di giardini. Navigare e non naufragare nel circuito regionale dei giardini storici: è possibile?
Meritevolissima iniziativa che invita a riflettere e a pensare criticamente su quel che avviene intorno a noi, e che già nel titolo mette in conto che si possa “naufragare” nel mare di giardini storici, pubblici e privati, dei quali la Liguria è ricca. Arenzano di questa ricchezza è esempio particolarmente pregnante e pregiato.
O forse “era”, e la trasformazione urbanistica e la tensione edificatoria speculativa alle quali è sottoposta ne stanno sfigurando irrimediabilmente uno degli aspetti di maggior valore e qualità: il verde urbano con i suoi giardini storici, i suoi orti secolari, frutto della tenacia, della sapienza e dell’umiltà della gente di terra di Liguria.
E così dal 1992, anno delle Colombiane, al convegno di cui sopra ad Arenzano sono stati distrutti o sfregiati ben sei giardini o orti storici, compreso il nobilissimo e celebratissimo parco, nel suo affaccio al mare che era proprio sbocco naturale, confine mobile fra onde, spiaggia e alberi esotici e “illustri”.
Ora è contorno del Grand Hotel, ingrandito del 30% secondo le concessioni di legge, con il 30% di alberi tagliati e chiuso per il 30% dei giorni dell’anno. Per gli altri giorni non si sa, ma non deve passarsela molto bene. Ma gli alberi e le palme non ci sono più; c’è la piscina a 20 metri dal mare, ci sono i vasi di fiori che profumano di automobili, perché tutt’attorno è un parcheggio.
E insieme al parco del Grand Hotel sono stati distrutti: un giardino storico di un albergo noto in tutta Europa per la sua grazia, per le sue fasce alberate, per il suo panorama; il parco di un hotel di pregio d’inizio novecento, che a norma di delibera doveva rimanere intatto; il giardino con palme e pini di una casa storica; un’area verde con frutteto e orto generoso che ad ogni stagione dava i suoi profumi; un orto antico con arance, limoni, mandarini, cipressi, un banano e la casetta del contadino.
Al posto di tutto ciò appartamenti costosissimi, come o più di quello di Scajola, e tanti box, venduti come appartamenti, per inscatolare scatolette. A coprire gli sventramenti solai-giardini–truman show, con palmette, piccole chicas, olivi da serra, veri ma senza profumo e senza smalto, tanto da sembrar finti.
Per fortuna c’è qualche arguto che alla domanda:”vuole comprare un box?” risponde:”No vorrei comprare un albero”.
I convegni, gli interventi dei sapienti, mai così numerosi, servono, informano, formano le coscienze dell’avvenire. Ma a volte viene il sospetto che, stando così le cose, finiscano per alimentare l’ipocrisia e a svuotare di senso le parole.
(Angelo Guarnieri)