Donne che parlano pochi che ascoltano

All’incontro “Donne che parlano” organizzato per l’8 Marzo presso il locale Banano Tsunami dell’Arci, al Porto Antico, le italiane paiono solo gradite ospiti. Chi manifesta il piglio delle organizzatrici sono giovani donne straniere attive, determinate, non più semplici portatrici di testimonianze all’interno di eventi voluti e gestiti dalle “padrone di casa”.


E’ la prima volta che mi capita, qui a Genova, e provo nettamente l’emozione di un passaggio di fase. Le non poche denunce degli atteggiamenti più o meno apertamente razzisti o di chiusura incontrati in tanti episodi di vita quotidiana, sono espresse senza aggressività, ma anche senza attenuazioni, e senza accompagnamento di contrappesi positivi. Ed anche questa è la prima volta.
Eugenia Esparragoza, antropologa venezuelana, dice alle circa sessanta donne presenti che la fase della mera sopravvivenza è superata, e che ora è il momento della nascita delle associazioni. Dei progetti. La fase della sopravvivenza, tuttavia, è stata lunga e durissima, per molte è ancora attuale, e viene richiamata in modo asciutto negli interventi: l’abisso che separa una prima esperienza in Italia vissuta da studentessa, da una seconda, vissuta da immigrata; l’umiliazione delle visite domiciliari delle forze dell’ordine che intendono appurare la natura dei rapporti tra marito e moglie, per verificare se il matrimonio è “di amore” o “di convenienza” ; la non dissimulata incredulità che una donna nera incontra quando dice di essere laureata; l’inutilità di una laurea in giornalismo acquisita in Venezuela; gli amichevoli consigli di sorvolare sulle proprie competenze, se si vuole sperare di trovare lavoro; i pregiudizi razzisti “che gente incredibilmente ignorante” instilla nelle teste dei compagni di scuola dei figli.
Un rebus non facile da risolvere per noi italiane viene aperto da una donna col velo, marocchina, che con energia, allegria, e una grande capacità di comunicazione, dice che il lavoro è importante, ma che per lei è almeno altrettanto importante riuscire ad aiutare le altre donne marocchine: “La donna marocchina, non esce a cercare da sé i suoi diritti. Manda avanti l’uomo, ma così lei i suoi diritti non li troverà mai. Invece se la donna trova da sé i suoi diritti, poi non avrà più bisogno dell’uomo”. Viene sommersa dagli applausi. Allora precisa che suo marito la sostiene nel suo progetto. Ma aggiunge “Come potete ben capire per me essere qui da sola, alla sera, con i due bambini affidati a mio marito a casa non è cosa facile” .
La serata procede con le voci delle donne sempre più sopraffatte dalla musica insistente e a volume sempre più alto che proviene dalla vicina pista di pattinaggio dell’Expò, ma non vi sono defezioni. Al termine, il proposito di mantenere una rete. Se ciò avverrà, che rapporto verrà stabilito tra le urgenze delle donne immigrate e le domande delle italiane è questione che rimane sospesa nell’aria.
I giornali, come spesso in questi casi, hanno annunciato l’evento, ma non ne hanno poi reso conto. Ma allora, come fare a sapere cosa si muove in città?
(Paola Pierantoni)