Via Prè/2. La vittoria di Pirro degli antirazzisti

Oggi passando da Via Prè mi soffermo davanti ai portoni n. 43, 41 e 39. Le case sono tutte messe a nuovo, dipinte di bei colori, con verdi portoncini lucidi. Guardo in alto e vedo molte finestre chiuse, così chiedo a una signora sudamericana che vende vestiti lì davanti se gli appartamenti sono tutti abitati, e lei mi risponde che no, molti sono vuoti.


Sono case del Comune, mi spiega, per saperne qualcosa bisogna andare al “matitone”.
Il fatto è che di queste case qualcosa ne so, e che siano vuote mi pare un amaro ma non imprevedibile epilogo di un episodio di nove anni fa.
Venerdì 24 marzo 1995 l’Ufficio Recupero del Centro Storico e l’Ufficio Stranieri del Comune di Genova comunicano ai sindacati ed alle associazioni che a vario titolo si occupano della immigrazione che il 31 marzo inizieranno le operazioni di sgombero di una serie di edifici di Via Prè che fanno parte del piano di recupero. Ai residenti regolari (cioè proprietari o in affitto) verrà assegnata una casa parcheggio e saranno poi ricollocati nella casa risanata.
Ma, e questo è il motivo della convocazione, in queste case abitano molti immigrati. Per quelli regolari (col soggiorno) il Comune ha previsto il ricovero temporaneo in albergo o in centri di prima accoglienza. Per i clandestini invece il Comune chiede alle associazioni lì riunite di fungere da cuscinetto: cioè di prendere contatto con loro e convincerli a dileguarsi prima delle operazioni di sgombero per evitare segnalazioni alla Questura ed espulsioni.
Le molte e assai variamente orientate associazioni lì presenti trasecolano e rifiutano recisamente di prestarsi alla bisogna, infatti risulta immediatamente lampante a tutti che il Comune non ha nemmeno preso in considerazione l’esistenza di immigrati aventi titolo alla assegnazione di un alloggio sostituivo, né che l’accertamento di questo stato di diritto in questo caso possa essere più difficile e richiedere quindi una attenzione particolare e tempi adeguati. Inoltre in base a una profonda “incomprensione sociale” viene data per scontata la disponibilità degli immigrati ad accettare una sistemazione nei centri di accoglienza, mentre è ovvio per tutti noi che questa soluzione non sarà mai accettata da chi (regolare o irregolare) è comunque stabilizzato in città, lavora, ha una casa per quanto precaria, ha creato un nucleo sociale ed ha sviluppato un forte senso di solidarietà con i compagni (regolari o irregolari) che vivono con lui.
Inizia la lotta: richiesta di sospensione degli sgomberi, picchetti davanti alle case, contatti con gli immigrati per raccogliere elementi di prova della esistenza di rapporti di affitto quasi sempre conclusi a voce e pagati in contanti. Saltano fuori ricevute e testimonianze che provano che gli immigrati pagavano 800.000 al mese per stare dove stavano. Costruiamo una mappa della zona, risaliamo ai proprietari, ci incontriamo più e più volte con uffici operativi, con gli assessori e col Sindaco, nominiamo un nostro legale di fiducia che si incontra con l’Avvocatura del Comune… In questi incontri sentiamo di essere vissuti come una controparte da contrastare, e non come interlocutori informati con cui affrontare un problema complesso.
Epilogo: dopo tre mesi di impegno a tappeto totalizziamo una importante vittoria simbolica, riusciamo infatti a fare assegnare un alloggio sostitutivo ad un cittadino senegalese che abitava, appunto, in Via Prè 43/1.
Ma la vittoria si accompagna ad una grande sconfitta: lì infatti abitavano almeno 50 senegalesi, la maggior parte in regola col soggiorno, che nel corso della trattativa pian piano se ne vanno arrangiandosi da soli. A Giugno lo sgombero degli ultimi residui abitanti viene effettuato. Nessuno accetta la sistemazione temporanea in albergo o in centro di accoglienza.
Il tentativo di ricostruire gli elementi di diritto che potevano dare luogo alla assegnazione dell’alloggio fu condotto esclusivamente dalle associazioni, a fronte di un atteggiamento di riserva e a volte apertamente ostile da parte della Amministrazione. All’epoca in un nostro documento ci chiedemmo: ma il compito di colmare il divario tra diritto formale e diritto sostanziale è un problema solo dell’associazionismo o è un problema di governo di una città caratterizzata da una realtà sociale complessa?
Questo episodio è stato l’atto di nascita del Forum Antirazzista di Genova.
(Paola Pierantoni)