Diversità/2 – I muscoli dei rambo e la dignità ferita

L’altra sera era a cena da me un nostro giovane amico di nazionalità marocchina. Festeggiavamo il suo nuovo lavoro, come operaio in un’azienda metalmeccanica. Alle spalle di questo ragazzo, in Italia da quindici anni, due diplomi di qualificazione professionale e un periodo di apprendistato di quattro anni felicemente concluso in un’altra azienda. Insomma, un giovane operaio genovese che si alza tutte le mattine alle 5.30 per trovarsi alle 7.30 sul luogo di lavoro non vicino alla sua abitazione.


I racconti che ci fa della sua nuova fabbrica rivelano una etica del lavoro di sapore antico: la felicità di averci trovato operai esperti, competenti, da cui sente di poter imparare. La sottolineatura della differenza con la azienda di prima dove si svolgeva un lavoro complessivamente meno qualificato e in cui l’organizzazione aziendale lasciava parecchio a desiderare. L’apprezzamento per la severità con cui vengono fatte osservare le norme di sicurezza. Brindiamo.
Il felice racconto viene però interrotto dalla narrazione di un episodio che felice non è. Una di queste mattine sull’autobus che lo porta al lavoro salgono alcuni agenti della Finanza. Controlli. Si dirigono da lui e lo fanno scendere. Gli chiedono i documenti e lui dà loro la patente di guida. Incominciano a mettergli le mani addosso, per frugargli nelle tasche. Lui reagisce con calma, ma con decisione: le mani nelle mie tasche ce le metto solo io, ve le svuoto, mi metto anche nudo, ma voi le mani in tasca non me le mettete. Un agente lo prende dal dietro dei pantaloni e lo solleva di peso da terra. Lui protesta ancora per questo modo di fare immotivato e privo di rispetto. Gli agenti fanno i loro controlli sul suo nome. Ovviamente non risulta nulla e finalmente lo lasciano andare. Di fronte al dolce che conclude la cena di festeggiamento il nostro amico ci dice della vergogna e della rabbia che ha provato: quelle persone sull’autobus da cui è stato fatto scendere avran no pensato che era un delinquente. E se c’era qualcuno della sua nuova fabbrica? E poi, perché?
Paola Pierantoni