Lavoro – Carceri, politica e classe operaia

Capita di leggere un giornale, e provare una fitta al cuore. Così con un titolo su La Repubblica del 26 novembre: “Preferiremmo le crociere, ma fateci costruire le galere”, riferito alla lettera che 300 lavoratori della Fincantieri “preoccupati da un futuro sempre più critico e pronti, pur di lavorare, a costruire anche le carceri galleggianti” avevano consegnato a Marta Vincenzi. La proposta di navi prigione per fronteggiare la sovrappopolazione nelle carceri era del ministro Alfano, e la sindaco l’aveva definita “incivile”.
Poi il giudizio di “inciviltà” è sfumato. Contano, a quanto pare, le coordinate geografiche: “Il no alle carceri galleggianti riguarda la loro eventuale collocazione a Genova, e non certo l’ipotesi che a realizzarle sia Fincantieri nello stabilimento di Sestri Ponente” (Marta Vincenzi, Corriere Mercantile del 29 novembre); “Noi non abbiamo nessun problema rispetto alla costruzione, – ha precisato l’assessore comunale Mario Margini – tocca poi al governo indicare le soluzioni su dove collocarle” (La Repubblica, 19 dicembre).


Nemmeno una parola spesa ad interrogarsi se costruire nuove prigioni serva a risolvere un affollamento carcerario fatto soprattutto di immigrati, tossicodipendenti e povera gente. Eppure basta ascoltare un po’ di Radio3, o fare un giro su internet per cogliere la complessità del problema e farsi venire qualche dubbio:
“Il carcere è sempre più un contenitore e un generatore di povertà … I detenuti che non hanno un domicilio sono esclusi dal beneficio delle pene alternative … molti detenuti anziani o malati restano nel carcere per mancanza di strutture di accoglienza socio-sanitarie esterne … siamo di fronte al fallimento di un intero sistema sociale che affida al carcere l’accoglienza e la custodia delle sue fasce più deboli … “ (Pastorale carceraria della Campania).
“65.000 detenuti, un record storico dal dopoguerra, 1500 morti in dieci anni di cui un terzo per suicidio, ma questa tragedia non si risolve costruendo più carceri; la recidiva di coloro che espiano interamente la pena infatti è del 68% mentre quella di coloro che sono usciti con l’indulto è del 27%. La gravità dei reati è relativamente bassa, le pene potrebbero essere scontate in parte, o in tutto, fuori dal carcere. Servono misure alternative, progetti di inserimento sociale, che però vanno sostenuti e finanziati, invece la spesa pro capite per detenuto in due anni si è dimezzata, da 13170 euro pro capite a 6393 euro”. (Mario Marazziti, portavoce della Comunità di Sant Egidio).
“E’ necessario garantire l’efficienza delle misure esterne e del recupero fuori dal carcere” (Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe).
“Il sovraffollamento c’è: si buttano nel carcere tutti i problemi. Ma il problema più grande è che i detenuti devono starsene 20 ore in cella per mancanza di personale di sorveglianza di fondi per le attività” (Direttrice carcere di Reggio Calabria, intervistata a Radio3).
Per fortuna l’orizzonte dei lavoratori Fincantieri si è un po’ schiarito. Resta lo sconforto di vedere una classe lavoratrice che non riesce più a tenere insieme le sue legittime rivendicazioni con la tutela dei più deboli, e una classe politica che insegue l’immediato consenso
(Paola Pierantoni)