Retribuzioni – Lavoro femminile: le parole per dirlo

Il direttore de L’Unità Antonio Padellaro, conducendo Prima Pagina (19 giugno), ha dato conto di una inchiesta sulla discriminazione salariale delle donne a cui il suo giornale ha dedicato un ampio spazio. Benissimo. Meno bene quel che succede a seguito della telefonata di un ascoltatore il quale in sintesi ha detto: “Sono quaranta anni che lavoro, e non ho mai incontrato un solo caso in cui, a parità di mansione, per le donne fosse prevista una paga inferiore a quella degli uomini. Di quali discriminazioni state parlando?”


A questo punto scatta una scoraggiante afasia. Padellaro si limita a ripetere più volte che l’inchiesta pubblicata è molto importante, che quindi c’è da crederci se vi si afferma che il divario salariale tra maschi e femmine oscilla tra il 20% e il 30%, ma non riesce a dare alcuna spiegazione di questo fenomeno, e molti ascoltatori si saranno chiesti: in effetti, la parità salariale tra donne e uomini non era stata raggiunta agli inizi degli anni Sessanta? Ci sono ancora lavori in cui per le donne si prevede un salario più basso?
Eppure, per togliere dalla perplessità il pubblico di Prima Pagina, sarebbe bastato che Padellaro avesse davvero letto l’articolo che aveva deciso di citare e che è stato pubblicato sul giornale che lui stesso dirige. O, meglio ancora, che avesse maturato dentro di sé – a prescindere dall’articolo e dalla ricerca – alcune chiavi di lettura dei nostri fenomeni sociali.
E’ ovvio e scontato infatti che i contratti di lavoro non prevedono più da decenni paghe differenziate tra uomini e donne, ma questo non è risolutivo perché “La differenza retributiva si spiega in prima battuta con una serie di discriminazioni indirette che incidono poi sul salario… la femminilizzazione della occupazione è avvenuta nei settori in genere peggio retribuiti… nel lavoro atipico (dove non vigono le tutele della contrattazione collettiva, nda.) le collaboratrici guadagnano la metà dei collaboratori… le donne sono esposte a rapporti di collaborazione più volatili… Inoltre “Più si sale nelle qualifiche professionali, più aumenta la disparità salariale perchè nelle alte qualifiche prevale la contrattazione individuale ed è molto meno sensibile la barriera antidiscriminatoria offerta dai contratti nazionali di lavoro”.
La ragione profonda di questa differenza che resiste a decenni di legislazione antidiscriminatoria, dice Giovanna Altieri, curatrice della ricerca, sta nel perdurare dello squilibrio tra i sessi nell’accollarsi il lavoro familiare di cura. Si tratta di un divario che continua a segnare un solco tra il destino lavorativo degli uomini e quello delle donne, incluso l’aspetto dl guadagno.
Sta di fatto (Ricerca Almalaurea del 2005, condotta su 75000 laureati in 36 diverse università italiane) che ad un anno dal conseguimento della laurea le donne guadagnano in media 885 euro netti mensili contro 1136 degli uomini. A tre anni dalla laurea il divario cresce ancora: 1017 euro per le donne, 1315 per gli uomini, quasi il 30% in più.
(Paola Pierantoni)