Categoria: Lavoro

  • OLI 271: ILVA – Un documento non si nega a nessuno

    No. La vicenda Ilva non è un’emergenza. Ma è il risultato di una disattenzione gravissima. Per molti è stato difficile farsi una ragione del perché si sia dovuti arrivare, a tre giorni dalla scadenza della cassa integrazione e dei lavori di pubblica utilità, senza sapere ancora quali sarebbero stati luogo di lavoro e mansioni per i dipendenti Ilva che da cinque anni in carico agli enti locali. Oggi 28 settembre, dopo un incontro in Comune, una riunione in Confindustria e un Consiglio Comunale monotematico, i lavoratori si possono alimentare solo di intuizioni.
    Chiunque avesse scorso gli articoli pubblicati sulla vicenda Acciaierie di Cornigliano dal 2005 ad oggi, avrebbe potuto, con estrema facilità, prevedere il quadro e coglierne gli aspetti di maggior criticità – dalla crisi siderurgica, alla cassa integrazione ordinaria, dalle riunioni con l’azienda alle sollecitazioni di sindacato e lavoratori. Sino alle vicende amianto e aree. Un insieme di problemi che messi in fila, con il minimo di buon senso richiesto a enti locali, governo e sindacato, avrebbero facilmente fornito spunti per far fronte con ampio anticipo allo scenario che si prospetta oggi. E’ un fatto che, solo a distanza di due giorni dalla scadenza della proroga di cassa e lavori di pubblica utilità – voluta e finanziata totalmente da Regione Liguria – i lavoratori Ilva hanno qualche elemento in più sul loro status giuridico a decorrere dal 1 ottobre.
    Il Gruppo Riva aveva da tempo esposto la sua soluzione: far rientrare tutti in fabbrica ricorrendo ai contratti di solidarietà. Soluzione presentata nel Collegio di Vigilanza del 24 agosto, nel quale l’azienda aveva fatto presente che la scadenza del quinquennio di cassa poneva un limite inderogabile alle richieste di proroghe.
    Ma la proposta di rientro per i cassintegrati – una settimana al lavoro, tre a casa – ha fatto emergere dubbi sulla reale capacità occupazionale dello stabilimento, oggi in crisi, e sul quale, a regime, ognuno fornisce numeri troppo contradditori (1800 azienda, 1600 Fiom, 1300 altri osservatori).
    A questa va aggiunta la perplessità in relazione alla chiusura dell’accordo di programma a partire dai 70 milioni di euro scritti nell’accordo e mai versati dal Governo all’Autorità Portuale per arrivare alla totale assenza della centrale termica. Con l’azienda che ha dichiarato di non aver nessun interesse a ridiscutere un accordo che, per quanto la riguarda, considera rispettato.
    Alle infinite richieste di convocazione di un tavolo romano, avanzate dal Comune di Genova e dalla Regione Liguria, nessuno dalla capitale ha mai risposto. E questo rilevante elemento ha permesso alle istituzioni locali di dichiarare di aver fatto, comunque, il possibile.
    La richiesta, datata 25 settembre, del sindaco Vincenzi al gruppo Riva, di finanziare con 2 milioni di euro la proroga dei lavori di pubblica utilità e di capire con l’azienda le reali strategie e il piano di rilancio, ha il sapore del sale buttato nella pasta a fine cottura.
    Muoversi prima, politicamente, voleva dire altre cose. Molto semplicemente, all’interno del Collegio di Vigilanza, chiedere quel tavolo almeno un anno fa.
    Il Consiglio Comunale monotematico sulla vicenda Ilva, in questo momento, è ancora in corso, la discussione a cui ho assistito fino a poco fa mi è parsa desolante. Nella migliore delle ipotesi, verranno prodotti due documenti separati.
    Come ha fatto notare cinicamente un sindacalista navigato “un documento non si nega a nessuno”.
    (Giovanna Profumo)

  • Oli 268: LAVORO – In attesa di una ondata improvvisa

    Il 2 luglio, durante il corteo per lo sciopero della Cgil, il fenomeno si ripete.
    Ogni volta che incontro persone con cui ho lavorato o che ho semplicemente conosciuto in tanti anni di sindacato, chiedo: “Beh, come va da quelle parti? Raccontami un po’, ormai sono un po’ fuori, questa volta non ho nemmeno partecipato al Congresso …”. In risposta, senza eccezione alcuna, arrivano espressioni di desolazione, stanchezza, disperazione equamente distribuite tra uomini, donne, ruoli più o meno di rilievo (dall’apparato tecnico alle segreterie), settore di attività e adesione all’uno o all’altro dei due documenti congressuali  “globalmente alternativi” su cui si è consumato il congresso della Cgil:  “Non me ne parlare! … beata te che ormai sei libera cittadina … il congresso peggiore che ci sia mai stato … meno male che è finito, più di sei mesi di patimento passati a farci la guerra tra di noi … si è ridotto tutto ad uno scontro di potere, ad una assegnazione di posti … Il clima dei rapporti qui a Genova è un disastro, ma anche altrove non è allegra … A leggere i testi delle due mozioni era dura scegliere tra l’una e l’altra, la questione in gioco era un’altra … cosa ci potevano capire  sui luoghi di lavoro?”.
    Per l’appunto, un giovane amico – delegato sindacale da poco – mi racconta la sua frustrazione e il suo sconcerto: si era messo di impegno a leggersi  per filo e per segno i due documenti (pochissimi, mi dicono, l’hanno fatto),  ed era andato a parlare con sostenitori dell’una e dell’altra parte in competizione,  per decidere a ragion veduta.  Ma appena ha reso esplicita la sua scelta ha visto i compagni dell’”altra” parte  passare istantaneamente dall’affetto seduttivo ad una gelida ostilità.
    Mentre cammino sotto il caldo estivo questi discorsi si intrecciano alle emozioni, ai colori, ai suoni di una manifestazione sindacale folta e partecipata, si scontrano con la speranza che portano in piazza le facce giovani e sconosciute di chi “è arrivato dopo”,  e incrinano la consolazione  di sapere che in questo paese allo sbando una grande organizzazione collettiva di lavoratori ancora c’è, resiste, pensa.
    C’è l’entusiasmo di sapere che tra poco, a dirigere la Cgil nazionale, ci sarà per la prima volta una donna, una che porta nella sua storia l’esperienza femminista del “Coordinamento Donne FLM”,  che nel 2001 ha dato vita al movimento “Usciamo dal silenzio”, che il 24 giugno, a Bologna, nel suo discorso per lo sciopero generale, ha saputo mettere in fila tutte le cose necessarie, e che è anche sufficientemente maschile da aver diretto per anni la Cgil Lombardia.
    Ma Susanna Camusso, anche se non tradisse nessuna delle aspettative che esistono su di lei, non basta per aver ragione del tarlo pericoloso che rode all’interno anche la Cgil, il tarlo che inchioda per mesi questa organizzazione a discutere di questioni invisibili e incomprensibili a chi sta fuori, e che le fa decidere i gruppi dirigenti sulla base di criteri in cui hanno troppo peso alleanze ed ubbidienze.   
    Ci vuole un’ onda giovane, mista tra sessi, nazionalità, età, e tipo di lavoro che arrivi senza preavviso, come quando sei sulla spiaggia con le spalle imprudentemente rivolte al mare, e ti ritrovi di punto in bianco bagnata e gelata dalla testa ai piedi.  
    (Paola Pierantoni)

  • Finanziaria – Non più di moda l’operaio?

    Secondo l’Osservatorio sulla gestione delle famiglie europee, curato dal PwC, Price waterhouse Coopers e dall’Università di Parma, per i paperoni d’Italia, quelli che possono contare su patrimoni superiori ai 500mila euro investiti in attività finanziarie, titoli o liquidità, esclusi gli immobili, la crisi sembra alle spalle. La ricchezza di 640mila famiglie appartenenti al campione, è salita fra il 2008 e il 2009 del 19%, grazie anche allo scudo fiscale con 85 miliardi di euro rimpatriati e nel 2010 avrà un trend di crescita del 5,3%.
    Così il Sole 24 Ore del 10 marzo, mentre il 23 febbraio erano sbarcati all’Asinara gli operai della Vinyls di Porto Torres, che ancora stanno là, non sono l’isola dei famosi, ma quella dei cassaintegrati e protestano vivendo nell’excarcere. Perchè se in questi giorni di finanziaria si parla, non senza ragione, del pubblico impiego tartassato, ci si dimentica dei tanti Cipputi che neppure la sinistra menziona più di tanto.
    Un mondo di invisibili condannati alla visibilità in occasione delle morti bianche.

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  • Comunicazione – Non contano solo le parole

    Non è facile spiegare il perché del senso di disagio e di irritazione che mi provocano i 30 secondi dello spot radiofonico (*) della campagna di comunicazione governativa che intende “Sensibilizzare le imprese e l’opinione pubblica ad un approccio più sereno e non discriminatorio nei confronti dei malati di cancro, in particolar modo nel contesto lavorativo”. Infatti non c’è nulla – o quasi – da dire sulle parole pronunciate: si tratta semplicemente di informazioni sulla possibilità dei malati oncologici di trasformare temporaneamente il loro rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale. Ma la comunicazione non passa solo attraverso le parole, contano i messaggi non verbali, e in questo è la voce che fa tutto, una voce femminile talmente malinconica da trasmettere una tristezza e un senso dell’ineluttabile che contraddicono alla base l’intenzione dichiarata di incoraggiare e rasserenare le persone colpite da questa malattia.

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  • Lavoro – Uno strano collocamento

    Mettiamo un Ufficio provinciale del lavoro e una data come il Primo aprile. Un ex imprenditore legge in sala di attesa i vari cartelli che invitano a fare da soli, a staccarsi dal lavoro subordinato per diventare padroni di sé stessi, con varie offerte, anche quella del passaggio del testimone, simboleggiata da una pialla da falegname che passa da una mano antica ma esperta ad una giovane e desiderosa di imparare. L’ex imprenditore pensa: mai più. Mai più commercialisti distratti, leggi ininterpretabili, visite a sorpresa di ufficiali impegnati a far cassa, cercando microscopiche grinze nella gonna stirata di una azienda onesta, mai più dipendenti, mai più nottate a mettere a posto la contabilità, come al solito in ritardo per far posto al lavoro da fare.

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  • Lavoro – MayDay! MayDay!

    Su Il Secolo XIX del 1 maggio Giuseppe Berta, Professore associato di Storia Contemporanea alla Bocconi, afferma: “La ricorrenza del 1 maggio si è annunciata quest’anno in tono minore e dimesso, ancor peggio degli anni scorsi”, e aggiunge che questa celebrazione “Sarà sempre più ritualistica, ma di fatto depotenziata”. Le tre grandi organizzazioni sindacali “fingeranno” soltanto di aver superato divisioni che segnano l’anacronismo della situazione sindacale italiana: “Cgil da una parte, e Cisl e Uil dall’altra restano organizzazioni che si fronteggiano con lo stesso senso di diversità di cinquant’anni fa, con la differenza che allora si ipotizzava di superare questo contrasto, mentre adesso ci siamo rassegnati a considerarlo permanente”.

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  • Cornigliano – Qualche legittima riflessione

    E’ legittimo chiedersi se al termine della campagna politica per le regionali i candidati abbiano formulato un pensiero complesso, o anche semplice, relativamente alle aree di Cornigliano e al loro futuro utilizzo. La stampa non ne ha praticamente parlato ed i lavoratori coinvolti sono sedati da cassa integrazione straordinaria e ordinaria fino alla prossima scadenza estiva, 31 agosto.

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  • Infortuni – Una bella campagna stampa non si nega a nessuno

    Sicurezza: Dovere assoluto, Diritto intoccabile. Dicevano alcuni slogan di Pubblicità Progresso del 2008.
    La campagna veniva presentata come formata da: “Slogan semplici e chiari, quelli oggetto della campagna, le cui basi comunicative vogliono creare maggior consapevolezza, abbattere storiche barriere culturali – come il fatalismo e l’inerzia – che impediscono una corretta visione della prevenzione, incoraggiare gli atteggiamenti solidali e la cooperazione tra amministratori e lavoratori.”
    Nel corso del 2009, così come negli anni che lo hanno preceduto tanti lavoratori sono morti sul lavoro. Moltissimi. Troppi.
    Circa un migliaio durante la loro giornata lavorativa sono incappati in un infortunio mortale. Questi sono quelli che fanno parte di quell’ambito percepito, sono quanti finiscono sul giornale la mattina coperti da un lenzuolo. Sono quelli che si intravvedono di sfondo nei telegiornali, dietro a militi affaccendati a prender misure, a transennare, ad allontanare curiosi. Sono quelli che permettono servizi con imbarazzanti e angosciose interviste a vedove affrante o colleghi di lavoro esacerbati.

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  • Favola di Natale

    E venne il giorno che in città decisero di parlare di lavoro.
    Avevano le analisi – composte in brevi fascicoli sotto i loro occhi – e molte previsioni. Erano tutti molto stanchi. Sostanzialmente affranti, poiché le loro parole, parole della politica, non riuscivano ad arrivare laddove la creatività si scatena e si crea Il Progetto. Tutti insieme decisero che era finito il tempo della bugia – bugia infinitamente utile a loro stessi e alla cittadinanza – ed era arrivato il tempo della verità. Che non era, in quei tempi, un dato oggettivo ma andava colta nel mare di informazioni discordanti fornite loro da studiosi capaci di prevedere il futuro.

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  • Lavoro – I salari di un mondo frantumato

    Ansaldo STS. Accordo sul premio di produzione siglato senza colpo ferire. Ogni mese un 5° livello (Operaio specializzato) riceverà 132 euro (1588 euro divisi in quote mensili), più il premio di risultato di 1900 euro a luglio 2010; questa ultima è una cifra a crescere per gli altri livelli, fino ai 2470 dei più alti. Nei prossimi anni il premio di risultato dipenderà dal raggiungimento o meno di obiettivi finanziari e produttivi. Quest’anno no.
    Fincantieri. L’azienda rifiuta di pagare i 750 euro annuali del premio di produzione. Proteste sindacali, scioperi, manifestazioni, blocchi del traffico, fino alla occupazione per cinque giorni consecutivi della palazzina della direzione aziendale. Una durezza che rischia di non essere compresa da chi rimane imbottigliato per strada, o che nemmeno sa cosa possa essere un premio di produzione. Il sindacato la motiva con la preoccupazione che “l’atto mancato” dell’azienda possa preludere anche ad un disimpegno produttivo. Poi l’accordo si trova: 210 euro subito, il resto a gennaio.

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